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La magia etimologica del suffragio, domani

Espressione di volontà mediante un voto. Ma c’è una componente quasi magica, nel suffragio.
A cura di Giorgio Moretti
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Se ti chiedessi di associare l'immagine di cocci rotti alle elezioni, probabilmente la vedresti come metafora di un disastro irrimediabile, o di divisioni frammentarie, o di un rivolgimento irreversibile. Difficilmente penseresti che il coccio rotto, storicamente, è stato il mezzo di una delle più incredibili rivoluzioni del voto.

C'è una rivoluzione antica, in questa parola, una rivoluzione che riguarda il modo in cui si vota, in cui si esprime una volontà in un'adunanza civile: far esprimere una volontà tramite un voto non più orale. Infatti i primi metodi di voto non erano dei più precisi, misurabili, compassati: pensiamo alla confusione delle acclamazioni, alla volatilità delle dichiarazioni o delle alzate di mano. Sappiamo benissimo che dramma  sia ordinare al ristorante quando si è anche solo una dozzina. Ebbene, il suffragio ha tratto la democrazia ad un primo approdo di ordine.

Ma di preciso, il suffragium, che tipo di voto non orale era? Ebbene, è derivato di suffragari ‘favorire, votare', che è composto da sub- ‘sotto' e frangere ‘rompere'. Esatto, rompere. Perché la votazione avveniva depositando un un’urna le tessere di voto, che erano letteralmente cocci rotti (così come si usava per l'ostracismo greco). Grande quantità, costo zero.

Purtroppo questa parola è quasi recintata nella formula del "suffragio universale": un tempo espressione da rivoluzionario, oggi espressione da sussidiario, o da leone da social network che ne vorrebbe l'abolizione. Figuriamoci, è quasi difficile immaginare altro modo di impiegarla. Ma questo dev'essere un motivo in più per riavvicinarci al termine: il suffragio ci presenta una volontà che si manifesta sulla materia, tracciata su una massa concreta, che si tocca. Si tratta di una volontà che viene sigillata su un corpo grazie ad un simbolo: e questa è magia.

Peraltro cotanta concretezza è evidente nell'uso esteso che si può fare di questa parola, intendendo con il suffragio, in genere, anche il consenso: se una proposta ha il mio suffragio non significa che mi fa annuire compiaciuto, non vuol dire che la approvo benevolo. La mia è un'approvazione che è volontà di sorreggere, volontà che emerge nella realtà con un segno, tracciata e chiara. Il fedele fa dire una messa in suffragio alle anime dei suoi cari per spingerle con forza, quasi con braccia spirituali, al cielo. Espongo un'argomentazione in suffragio di una tesi, e le mie parole ordinate si fanno ordinato sostegno, contrafforte.

Il suffragio di domani è ancora una volta volontà individuale che concorre, con regola dibattuta ma chiara, a formare una volontà più ampia e condivisa. Ancora una volta ne emergerà un equilibrio sociale. Stavolta però non saremo noi a mettere la nostra scheda nell'urna, ma il presidente di seggio, che con un codice controllerà che sia proprio quella che ci ha dato (e non un'altra, magari già segnata, magari usata per il voto di scambio); una bella innovazione. Un nuovo ramo sul tronco rivoluzionario del suffragio.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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