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Ermanno Rea e “Il caso Piegari”: attualità della storia di un giovane comunista negli anni ‘50

Ermanno Rea firma un melanconico pamphlet che ripercorre la parabola esistenziale (dalla militanza alla clamorosa espulsione dal partito comunista alla malattia e poi alla morte) di Guido Piegari, filosofo e ricercatore in medicina che fondò il Gruppo Gramsci, un gruppo di militanti del Pci che si oppose alla linea principale del partito, quella di Amendola, e che ha rappresentato un’eccellenza nella riflessione filosofico-politica napoletana ed italiana.
A cura di Luca Marangolo
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Siamo alla fine del 2014, il quadro internazionale è in pieno sconvolgimento: tale sconvolgimento è in alcuni casi molto evidente (la progressiva supremazia della Cina sulle potenze economiche occidentali)  e in altri casi non ha ancora visto i suoi frutti. Si pensa specialmente al sistema politico europeo, che negli ultimi anni di crisi economica ha portato alla luce tutta la sua intrinseca debolezza, ha mostrato come nella cultura europeista abbia preso il sopravvento una concezione burocratica – e non politica- dell’Unione: che non ha mediato fra i vari stati, che non ha potuto altro che favorire, senza alcun senso di prospettiva storica, i creditori sui debitori.

In Italia invece si sente un forte senso di disunità e frustrazione dovuta ad una crisi economica forte e a una ripresa che sembra aleggiare come un miraggio evanescente sui vari media ma, si direbbe, solo su quelli.

Per questa via è comprensibile dunque che un intellettuale di una grande

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sensibilità malinconica, ma pure pervicace nel cercare di razionalizzare un presente che stenta a comprendere o che, ancor meglio, comprende troppo bene in quella che gli pare essere la sostanziale impoliticità della classe dirigente di oggi -la loro mancanza di prospettiva e di pensiero politico forte, in grado di esaltare le caratteristiche positive dello stato democratico- si volga con tutta la sua malinconia verso un triste episodio del suo passato di militante.

Per leggere questo presente “privo di bussola” lo scrittore Ermanno Rea – già autore di un libro dal tema analogo dal titolo Mistero Napoletano– ci propone di ripercorrere le vicende di Guido Piegari, un giovanissimo pensatore degli anni Cinquanta che, dopo essersi guadagnato la stima di Benedetto Croce, aver dato prova di grande carisma, proselitismo ed intelletto penetrante, fondò l’influente gruppo Gramsci.

Del gruppo Gramsci facevano parte, fra gli altri, Piegari e l’avvocato Gerardo Marotta, il direttore dell’Istituto Italiano degli studi filosofici di Napoli. Questo gruppo si propose come alternativa, in un momento cruciale come il quadro politico post-bellico italiano, al modello del Pci di Giorgio Amendola e poi dell’area migliorista del partito, quella che vinse e, attraverso un processo lungo un ventennio, portò alla creazione del Pds e dell’Ulivo poi. Perché rivangare il passato? perché raccontare vecchie storie di polemiche politiche di quasi 70 anni fa, e polemiche legate a una visione di problemi politici del passato?

Una buona ragione sembra esserci: perché i problemi politici che adombra il Caso Piegari sono problemi presenti ancora oggi, anche se magari sono  mutati, si sono trasformati nell’identità, hanno cambiato pelle, insomma. E tuttavia sono grandi problemi di cui nessuno più discute e di cui si dovrebbe discutere: ad esempio il problema della questione meridionale, il problema di un’entità statale sovranazionale Europea, che permetterebbe di fare gli interessi di tutti gli stati, e non di quelli più ricchi.

Questioni, insomma, che richiedono una visione politica, una concezione della politica che oggi manca. È solo una supposizione, perché non si può dire che il libro di Rea sviluppi in toto questi argomenti di cui pure parla; però si ha la netta sensazione che Rea veda come di questi problemi si è discusso per l’ultima volta all’epoca di Guido Piegari, e Piegari ha proposto un’alternativa (figlia di una lettura scrupolosa di Gramsci) a quelle che poi furono le scelte del partito comunista di allora, molto localiste, di visione più ristretta e politiciste.

Dal punto di vista dell’autore, dunque, la scandalosa espulsione di Guido Piegari dal Partito Comunista ha coinciso con la fatale degenerazione dello stesso, lo ha portato ad essere incapace di rispondere a tutti quei problemi che si affollavano allora e coerentemente si sono trasformati nei problemi che si affollano oggi. Commuovente è il ritratto del compagno di militanza Gerardo Marotta, cui Rea dedica delle pagine piene di tristezza e tenere, mostrando come Marotta abbia, con grande fervore ideale, cercato di preservare lo spirito del loro gruppo per lo meno nel suo Istituto, il cui orgoglio era una biblioteca che sarebbe il vanto di qualsiasi istituzione culturale, se non fosse oggi dismessa per mancanza di fondi.

L'avvocato Marotta al premio "Napoli c'è"
L'avvocato Marotta al premio "Napoli c'è"

Il libro poi segue per brevi tratti la vita di Piegari dopo la tragica espulsione, il sopravvento della malattia mentale e la solitudine, preludio di una silenziosa morte nel 2007. È un pamphlet, quello di Rea, che non dà risposte, che non offre soluzioni e che sembra solo rimpiangere l’energia di pensiero di un gruppo di militanti che sentiva forte il peso di un eredità enorme e cioè quella del pensiero classico tedesco e dell’hegelismo italiano, incarnato, nell'Ottocento, dai fratelli Spaventa su tutti e poi, più indietro, quella della stagione forse più felice della cultura filosofica italiana, quella di Vico, di Campanella ed altri pensatori politici rinascimentali molto amati da Croce.

Una lettura nostalgica per uno storicismo che-va detto con chiarezza- oggi sembra inattuale e inattuabile, ma che quantomeno aveva il pregio di un fervore ideale, aveva il pregio di volere vedere le cose alla radice o, se si preferisce,  di guardarle dall’alto. Infatti l’ultima parte del libro è un appendice con dei saggi di filosofia dello stesso Piegari- di professione oncologo- che manifestano una fede forte per la dialettica con cui procede la realtà, fede che si contrappone alla ristrettezza di vedute con cui alcuni come Amendola e altri vengono, seppur indirettamente, ritratti.

Sebbene chi scrive sia molto lontano dalle visioni storiciste espresse dal libro che, nelle parole di Piegari, propone una perfetta identità tra realtà storica e razionalità, non si può non ammirare la tensione ideale a voler avere un pensiero politico vasto, di largo respiro e che pensi i problemi in modo strutturale. Tutto il contrario della politica attuale.

Almeno per questa ragione, se non per la sostanza, varrebbe la pena leggere questo piccolo libro di Rea, per capire cioè che non è tutto irreversibile. I problemi di cui abbiamo parlato, ovvero la crisi dell’Unione Europea e il divario culturale e politico del nord e del sud Italia, non sono problemi irreversibili, sono anzi reversibili perché hanno avuto anche origine da precise scelte politiche del passato, di cui questo libro è una testimonianza.

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