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Beni confiscati. Qui lo stato ha perso! Quando le istituzioni abbandonano chi ci lavora

Associazioni e cooperative sociali lasciate sole, senza il necessario sostegno e spesso ostacolate da pezzi delle stesse istituzioni. Le storie di chi è costretto a chiudere, chi minaccia la chiusura e chi prova a continuare. Sui beni confiscati la camorra non è l’unico nemico da combattere.
A cura di Vincenzo Sbrizzi
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«Ci aspettavamo che la camorra ci avesse dato fastidio, l'avevamo messo in cantiere. Ciò che non ci aspettavamo era che le istituzioni ci avessero delegittimato continuamente». A parlare è Peppe Pagano, fondatore della Nuova Cucina Organizzata, il ristorante che dà lavoro e dignità a ragazzi ex degenti dei centri di igiene mentale. «Non a Brescia ma a San Cipriano d'Aversa» come ama spesso ripetere, in piena terra di camorra che dal 2002 lui e tanti altri si sono impegnati a trasformare Gomorra in la terra di don Peppe Diana. C'è chi però rema contro questa splendida realtà che vive di beni e frutti raccolti su terreni confiscati alla camorra.

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Non gli uomini di Sandokan, i temutissimi casalesi, o almeno non solo loro. A mettere i bastoni fra le ruote l'Asl di Caserta che ha più volte provate a delegittimare non solo il lavoro di Peppe e degli altri volontari, ma soprattutto il modello di Welfare che loro propongono. L'ultima “offensiva” è arrivata quando l'Asl, con una nota ai Nas, ha chiesto l'intervento proprio contro la Nco, ritenuta “fuorilegge” fin quando non vengono approvate le linee guida regionali. La richiesta della Nco, di fronte all'ennesimo tentativo di delegittimazione è chiara: «o vengono approvate in tempi brevi le linee guida o chiudiamo». Una decisione sofferta che però verrà presa se non verranno presi provvedimenti perché in questo modo è lo stato per primo ad esporre a rischi chi lotta contro la criminalità.

C'è chi non ha avuto scelta e ha dovuto chiudere. Come la Asharam Santa Caterina, di Castellammare di Stabia che da maggio ha cessato tutte le sue attività. L'Asharam è nata nel 2004 in un bene confiscato al clan D'Alessandro, una delle cosche più temute della Campania. Un palazzo in uno dei rioni – bunker del clan in pieno centro storico. Lì per anni hanno accolto centinaia di migranti in una struttura fatiscente trasformato in centro di accoglienza. A costo di cifre esagerate, centinaia di migliaia di euro tutte messe sul piatto dai volontari che adesso sono costretti a tirare i remi in barca. Nessun aiuto da parte delle istituzioni che in caso di servizi resi con progetti, hanno pagato con anni di ritardo. Al momento i letti dell'Asharam sono vuoti e a Castellammare i migranti dormono in villa comunale.

A chi era partito con delle risorse pubbliche, sono state tagliate negli anni. E' il caso della cooperativa sociale "Al di là dei sogni" di Maiano di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. Su un terreno confiscato alla camorra, dedicato ad Alberto Varone, altri ragazzi con un passato di malattia mentale o tossicodipendenza, coltivano verdure, dando vita all'iniziativa "Facciamo un pacco alla camorra”, fiore all'occhiello dell'antimafia sociale. Nel 2010 però l'Asl del distretto di Teano, ha dichiarato terminati tutti i progetti riabilitativi utilizzanti il budget sociale, lo strumento che permette il recupero alla vita dei malati fuori dalle strutture ospedaliere, con effetto retroattivo di quattro mesi.

La cooperativa attingeva dal budget sociale, così come in passato anche la Nco, le risorse da integrare a quelle ricavate dalla commercializzazione dei prodotti per mantenere le case famiglia e i gruppi di convivenza dove i "malati tradizionali” venivano restituiti alla vita. Lo stesso sistema della Nco e di altre cooperative sociali che hanno l'obiettivo di rivoluzionare il Welfare, per un motivo molto semplice come molti di loro ripetono: «perché funziona – e aggiungono – addirittura costa meno delle cliniche». Una strada che a qualcuno non piace e lo ha fatto capire chiaramente. La coop. "Al di là dei sogni” però continua a produrre i “pacchi alla camorra” e resiste anche senza i soldi pubblici. In quanti ci riusciranno?

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