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Questo non è maltempo, questa è colpa nostra

A ogni acquazzone, la stessa conta dei danni, dei disagi, delle vittime. Ma mai che si ponga rimedio davvero al problema: quello di un territorio e di città vittima dell’incuria, che avrebbero bisogno di investimenti e di manutenzioni che non esistono. E intanto la Corte dei Conti denuncia: dei soldi stanziati contro il dissesto idrogeologico, solo il 20% viene effettivamente speso.
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Piantatela di chiamarlo maltempo, davvero. Piantatela di raccontare il bollettino di guerra di queste ore – fatto di viadotti che crollano, frane, strade chiuse, quartieri isolati, fiumi esondati, automobili in balia della forza dell’acqua, persone disperse, dal Piemonte alla Calabria – sia frutto di un evento atmosferico come ce ne sono tanti. Particolarmente grave, ma come ce ne sono tanti.

Non è così. E lo dobbiamo ribadire con forza, ogni volta che accade. Per non lasciare che la nostra indole auto-assolutoria abbia la meglio su tutto il resto. Per evitare che tutto rimanga uguale a se stesso ogni volta, che passata l’emergenza si torni a occuparsi d’altro, come se niente fosse, come se il dissesto idrogeologico non fosse l’autobiografia di questa nazione, come se non sapessimo che per mettere in sicurezza tutto il territorio da eventi di questo tipo servirebbero 40 miliardi circa, almeno stando alla conta degli enti regionali.

Servono 40 miliardi perché l'81% dei comuni italiani ha aree in dissesto idrogeologico, su cui persistono anche più di 6000 edifici scolastici e 550 ospedali.

Servono 40 miliardi perché tra il 1998 e il 2018 l’Italia ha speso circa 20 miliardi di euro per rimediare agli effetti del dissesto. Servono 40 miliardi perché tra il 1944 e il 2012 i danni da dissesto idrogeologico sono stati pari a 61,5 miliardi, circa 900 milioni all’anno, mentre nell’ultimo decennio il costo è salito a 2 miliardi l’anno. Servono perché più passa il tempo, più paghiamo la nostra incuria.

Servono 40 miliardi perché il clima sta cambiando e dal 2010 ad oggi, sono 563 gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico, circa 60 all’anno, cinque al mese. E saranno sempre di più, sempre più forti, sempre più distruttivi, sempre più nelle stesse città, sempre più vulnerabili, da Roma a Genova, da Venezia a Milano, ognuna coi suoi fiumi tombinati, le sue coste a rischio frana, i suoi sistemi di protezione che non funzionano.

Servono 40 miliardi, ma finora, di miliardi ne sono investiti a malapena 6. E dei fondi stanziati dal governo, quelli effettivamente erogati alle regioni sono solo il 20% circa, come ricordato dalla Corte dei Conti in un indagine del 31 ottobre 2018, segnalando che il vero ritardo sta nella progettazione dei lavori e in problemi di ordine tecnico-burocratico. In altre parole, nel malfunzionamento di uno Stato senza soldi, che non riesce a spendere nemmeno quelli che ha.

Non chiamatelo maltempo, quindi. Perché se fossimo un Paese anche solo quasi normale, oggi staremmo parlando d’altro.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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