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Luise, uccisa a 12 anni da due coetanee: cosa succede quando l’assassino è un bambino

Luise F., 12 anni, è stata uccisa da due coetanee in Germania. Che cosa spinge un bambino ad uccidere?
A cura di Anna Vagli
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Quando l’assassino è baby, resta perdizione e smarrimento nell’opinione pubblica. Del resto, è comprensibilmente difficile accettare che menti apparentemente innocenti possano trasformarsi in assassini senza scrupoli. Ciò perché si è soliti pensare, ed è fisiologico farlo, ai bambini come a soggetti empatici. Non manipolativi e sanguinari.

Eppure, quando capita, sono killer spietati.

Luise F., dodici anni, è stata uccisa a coltellate in Germania, a Freudenberg, da due coetanee di dodici e tredici anni. Che poi hanno confessato. Non sappiamo i dettagli del drammatico gesto. E forse è meglio così.

La 12enne uccisa in Germania
La 12enne uccisa in Germania

Come è possibile che i bambini uccidano?

Il tema è fortemente dibattuto. Ma possiamo partire da un assunto. Considerando che la crescita non è ancora completata, come nel caso delle dodicenni tedesche, è piuttosto verosimile ipotizzare che nei baby assassini non vi sia una completa capacità di distinguere il bene dal male.

E questo li induca a sviluppare una sorta di impermeabilità rispetto a quello che fanno. Anche quando commettono un omicidio. Attenzione, non si tratta assolutamente di una scusante. Né deve essere percepita come una causa di impunità.

Anche se, proprio come in Italia, anche in Germania, non è prevista la punibilità al di sotto dei quattordici anni di età. Forse proprio per questo. Perché il percorso di crescita è in divenire.

In questo senso, proprio gli studi neuroscientifici dimostrano come, quando a macchiarsi di un omicidio sono bambini così piccoli, vi siano marcati tratti di insensibilità emotiva. Che, talvolta, possono tradursi in manifestazioni psicopatologiche. Già in tenera età.

Tuttavia, c’è anche un altro dato che non può certo essere sottostimato. Bambino e adulto non hanno la stessa percezione della morte.

Nei minori, soprattutto al di sotto dei sei anni di età, c’è l’erroneo convincimento che la morte sia un qualcosa di temporaneo, come il sonno. Una circostanza che sicuramente può, in taluni casi, spostare gli equilibri.

Diverso, invece, è il ragionamento di coloro i quali si trovino in una fascia d’età un po' più elevata. Richiamiamo ancora l’esempio delle bambine tedesche e consideriamo il dodicesimo anno di età. Lo scenario cambia.

I mezzi di comunicazione di massa, in special modo i videogames, spettacolarizzano continuamente la morte. Così come lo fanno le pericolose sfide tra giovanissimi sui social. Inculcando messaggi pericolosi che, talvolta, possono rivelarsi micidiali.

Tirando le fila. È vero che, come in ogni crimine efferato, è necessario valutare di volta in volta quelle che sono le cause di episodi così gravi, verificando anche la presenza di psicopatologie. Tuttavia, e sembrerebbe rientrare nella casistica anche quanto accaduto in Germania, molto spesso si ha a che fare con bambini inconsapevoli, incapaci di distinguere pienamente il bene dal male.

Bambini che, forse anche per il contesto ambientale o abitativo, riconoscono la violenza estrema come unico mezzo di risoluzione di ciò che viene percepito come conflittuale o scomodo. Come già anticipato, non sono considerazioni che possono elevarsi a scriminante.

Pur non essendo legalmente punibili, infatti, bisognerebbe iniziare a valutare la possibilità di stimare concretamente la pericolosità sociale di chi si macchia di un omicidio già in così tenera età.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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