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Cannabis e cancro, la storia di Mirko: “Assumerla mi ha aiutato tanto con chemio e radio”

Mirko Figoli è un paziente che negli anni, oltre a chemio e radioterapia, ha affiancato anche la cannabis per trattare il suo tumore cerebrale. “Mi ha aiutato a combattere gli effetti collaterali della chemio e quindi nausea, dolore e stanchezza: a chi ha un tumore o una patologia per la quale è prescrivibile, io consiglio sempre la cannabis”
A cura di Mario Catania
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Mirko Figoli e la moglie Valentina Zuppardo
Mirko Figoli e la moglie Valentina Zuppardo
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“La cannabis mi ha aiutato soprattutto a sopportare gli effetti della chemio e della radioterapia, che sono mancanza di appetito, dolore, nausea, vomito e stanchezza”. Mirko Figoli, affetto da un tumore cerebrale, racconta così gli effetti della cannabis come integrazione alle terapie che sta seguendo. “Io la consiglio ogni giorno – sottolinea – perché vivendo in mezzo ai malati, a chi ha un tumore o magari altre patologie per le quali può essere prescritta, è una delle prime cose che dico, di prendere la cannabis terapeutica come supporto alle cure tradizionali”.

Sono ormai diversi anni che la cannabis in medicina viene utilizzata per combattere i sintomi del cancro, ed anche per alleviare gli effetti collaterali della chemio e della radioterapia. Tra i molti studi scientifici a riguardo, in un lavoro molto recente a cura di diversi ricercatori israeliani che è stato pubblicato sull’European Journal of Internal Medicine, sono stati analizzati i dati di 2970 pazienti oncologici trattati con cannabis medica tra il 2015 e il 2017, riscontrando diversi effetti benefici su molti sintomi. Dopo sei mesi di follow-up, 902 pazienti sono deceduti e 682 hanno interrotto il trattamento. Dei restanti, 1211 (60,6%) il 95,9% ha riportato un miglioramento delle loro condizioni rispetto all’uso di cannabis, 45 pazienti (3,7%) non hanno riportato cambiamenti e quattro pazienti (0,3%) hanno riportato un peggioramento delle condizioni cliniche. I sintomi principali erano disturbi del sonno (78%), dolore (78%), debolezza (73%), nausea (65%) e mancanza di appetito (49%).

Gli autori hanno concluso che la cannabis “come trattamento palliativo per i malati di cancro sembra essere un’opzione ben tollerataefficace e sicura per aiutare i pazienti a far fronte ai sintomi correlati alla malignità”.

Ma in Italia non è un percorso semplice e Mirko e sua moglie Valentina Zuppardo, se ne sono accorti in prima persona. “Da quando abbiamo iniziato questo trattamento”, spiega infatti Valentina, “ci si è aperto un mondo sulle terapie integrate e sulla cannabis terapeutica, perché comunque ci siamo resi conto della difficoltà che un paziente deve affrontare per riuscire ad iniziare una terapia a base di cannabis”. Tanto che il loro progetto è continuato con la creazione di un’associazione, InfioreScienza, nata proprio per dare appoggio e informazioni a tutti i pazienti che decidono di iniziare questo percorso. “Non solo, perché come associazione lo scopo è anche quello di creare eventi divulgativi e costruire un dialogo con le istituzioni locali visto che ancora oggi, per quanto riguarda la cannabis e la sua rimborsabilità, le leggi cambiano da regione a regione”.
I problemi principali per i pazienti sono rappresentati dalla difficoltà nel reperire la cannabis nelle farmacie, e dai pochi medici che conoscono le proprietà mediche della cannabis e che la prescrivono. “Ci sono ancora molti pregiudizi che ruotano attorno a questa pianta”, puntualizza Valentina spiegando che: “Tra i pazienti affetti da varie patologie c’è un gran passaparola per i benefici che porta, per cui spesso sono i pazienti a chiedere al proprio medico questo tipo di terapia, quando invece dovrebbero essere i medici a proporla.

Il dottor Vittorio Guardamagna
Il dottor Vittorio Guardamagna

In Italia, due tra i centri più all’avanguardia in oncologia, lo IEO (Istituto Europeo di Oncologia) e la fondazione Veronesi, sono molto aperti in quest'ambito, tanto che la fondazione cofinanzierà con l'istituto un importante studio scientifico sull'efficacia dei cannabinoidi nel trattamento del dolore oncologico. “Da quest'anno abbiamo iniziato dei corsi interni per gli oncologi”, spiega il dottor Vittorio Guardamagna, direttore dell’Unità di Cure Palliative e Terapia del Dolore dello IEO, nonché componente del comitato etico della fondazione Veronesi, “su come si prescrive, come si utilizza, quali sono le tipologie dei diversi cannabionoidi, le indicazioni terapeutiche per un corso molto pratico con l'obiettivo di arrivare a fine anno avendo formato tutti gli oncologi. I primi risultati li stiamo già ottenendo perché affiancare la cannabis alle terapie tradizionali secondo noi può essere lo standard migliore da utilizzare”. Il dottore continua a raccontare che: “Noi, come terapisti del dolore la prescriviamo quasi a tutti i pazienti che intercettiamo, non solo ai malati in stadio avanzato, come supporto perché avere a disposizione una sostanza che da un controllo di tanti sintomi del malato, dalla debolezza alla mancanza di appetito o il vomito durante le chemioterapie, piuttosto che per il controllo dell’insonnia e dell’ansia, permettendo inoltre di ridurre le dosi degli oppiacei, è un valore aggiunto. Ad oggi – continua il dottore – abbiamo trattato circa 300 pazienti, non abbiamo ancora pubblicato i dati e naturalmente sono studi osservazionali. Abbiamo avuto una risposta come effetto globale sull'80% dei pazienti: non per forza sulla riduzione del dolore ma sulla riduzione dei sintomi in generale e sul miglioramento della qualità della vita, che per noi è importantissimo”.

Secondo Guardamagna: "Siccome sappiamo che i benefici di questo tipo di trattamento sul paziente sono globali, l’obiettivo è prescriverla a tutti i pazienti per cui è possibile farlo in una fase il più precoce possibile. I risultati si vedranno tra qualche anno, ma le premesse sono eccezionali".

L’altro ambito è quello della ricerca, perché oltre allo studio sul dolore oncologico, ne sarà realizzato anche un altro nel 2019, teso ad indagare i benefici della cannabis nel combattere direttamente il tumore. Sono diversi infatti gli studi scientifici in vitro ed in vivo, effettuati quindi su cellule e cavie animali, che sottolineano le potenzialità di diversi cannabinoidi nel causare la morte delle cellule tumorali di vari tipi di tumore, mettendo in atto diversi meccanismi e senza danneggiare le cellule sane.

“E’ un’ipotesi di ricerca interessantissima che stiamo sondando. C’è un ricercatore italiano, Massimo Nabissi dell’Università di Camerino, che è già partito studi e pubblicazioni su questi meccanismi e noi abbiamo in programma di iniziare una ricerca clinica vera e propria sugli effetti di interferenza sulla crescita tumorale, che probabilmente inizierà nel 2019. Di evidenze scientifiche in questo senso ne sono state raccolte parecchie, ma ci vogliono risultati più forti per poter dire che la cannabis curi il tumore”.

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