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Incidente Venezia, morta Sara. Il fidanzato: “Ho aperto la portiera dell’auto e l’ho vista lì”

“Era raggomitolata sotto il volante, l’ho tirata fuori e le ho tenuto la mano”, Nicola Scarpa ricorda i drammatici momenti che hanno fatto seguito al frontale che ha tolto la vita alla sua fidanzata, domenica nella frazione di Caltana di Santa Maria di Sala. Lui è stato il primo a soccorrere la giovane di Mestre, ma non c’è stato nulla da fare.
A cura di Biagio Chiariello
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“Ho fatto inversione di marcia e mi sono precipitato. Non la vedevo al posto di guida. Speravo fosse uscita da sola. Per un momento ho sperato. Poi ho aperto lo sportello e l'ho vista raggomitolata sotto il volante, le labbra blu. Ma perché non aveva allacciato le cinture? Lo faceva sempre, sempre”. Se lo chiede Nicola Scarpa, fidanzato di Sara Michieli, la 25enne di Mestre morta sul colpo dopo uno schianto frontale a Venezia, nella frazione di Caltana di Santa Maria di Sala.

Sara è morta sotto gli occhi di Nicola, che la precedeva a bordo della sua auto e che non appena ha sentito il rumore dell’impatto è tornato indietro. Ha provato a soccorrerla per primo, ma è stato inutile: “L'ho tirata fuori, l'ho stesa a terra e ho cominciato a praticarle il massaggio cardiopolmonare. Sono stato nei vigili del fuoco e so come si fa. Mi hanno aiutato, dandomi il cambio, anche dei ragazzi residenti lì vicino. Poi è arrivato il 118. Quando la dottoressa le ha tastato l'addome ho capito che Sara non c'era più. Mi sono sdraiato accanto a lei, le ho preso la mano, era già fredda, non volevo lasciarla andare. Mi sono messo a piangere a dirotto. Poi quei segni di frenata sull'asfalto. Si era accorta dell'altra auto, ha tentato di salvarsi, si è resa conto di morire. E questo è ancora più insopportabile”, racconta il 38enne al Gazzettino.

I due ragazzi gestivano insieme un bar, il Chiringuito di via Fratello Rondina, in centro a Mestre. Lo avevano aperto insieme appena lo scorso luglio. Un sogno diventato realtà. Domenica era il primo giorno libero di Sara dopo 36 consecutivi di lavoro. “Non si meritava una fine così. Nessuno se lo merita, ma Sara più di tutti – continua Nicola -. Ha dovuto combattere fin da piccola. Lasciare la scuola e andare al lavoro perché il papà operaio a Porto Marghera si era ammalato. Era il suo idolo. Io l'ho conosciuta qualche mese dopo che era morto, stroncato da un tumore. Lei lo aveva accudito fino all'ultimo. Un colpo durissimo da sopportare. Ma aveva reagito. Come sempre. Con il sorriso grande che le si rifletteva negli occhi azzurro cielo, profondi e rassicuranti. Da lui aveva imparato che il lavoro è libertà e dignità e lei il suo mestiere lo adorava”.

La coppia progettava un futuro insieme. Nicola le aveva regalato l'anello di fidanzamento a Capodanno, quello che la nonna aveva ricevuto dal nonno, quello che suo padre aveva affidato a sua madre. “Per noi doveva essere l'anno della svolta. Avviato il bar, volevamo un figlio, costruire una famiglia. La nostra. Convivere. Non capirò mai – continua – perché ha provato a fare anche il secondo sorpasso. Dallo specchietto retrovisore ho visto che si è spostata in centro strada per poi rientrare, e dopo si è buttata fuori ma era come se la marcia fosse bassa. Sara aveva una guida sportiva ma non era incauta. È vero su quel tratto c'è il limite dei 50 ma è un rettilineo che ti invoglia. Più dei 70 non correva…”.

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