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Giulia, Silvia e il doppio cognome alla figlia: “Serve una legge, non vogliamo adottare i nostri figli”

Giulia e Silvia hanno combattuto a lungo per poter dare il dopo cognome alla loro bimba, nata poco dopo la loro unione civile. “Siamo contente da una parte, ma dall’altra è un po’ una sconfitta” racconta a Fanpage.it la coppia di 39enni parmigiane. L’avvocato: “Nella sentenza parole importanti”.
A cura di Beppe Facchini
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“Questi tre anni sono stati molto lunghi e difficili. Perché abbiamo iniziato a fare i genitori e perché, oltre alla fatica canonica della gestione di un nuovo nato, ci sono state altre fatiche notevoli che abbiamo portato avanti parallelamente a tutto quello che fanno i genitori normali. Perché noi siamo genitori normali”. Giulia Panizza, 39enne insegnante di Parma, nel 2018 si è unita civilmente con la compagna Silvia Gregorio, che fa il suo stesso lavoro e ha la stessa età.

Le fatiche alle quali fa riferimento sono quelle di una battaglia legale durata quasi quattro anni e conclusasi a fine giugno scorso con una sentenza del Tribunale dei minori di Bologna e un risultato che lascia le due donne soddisfatte, ma solo a metà. La figlia nata poco dopo la loro unione civile, adesso, ha infatti finalmente il doppio cognome.

Per ottenere tale riconoscimento sono dovute passare dalla stepchild adoption che, come raccontano per la prima volta a Fanpage.it, non è proprio quello che desideravano.

Giulia e Silvia lo confermano al fianco dell'avvocato Valentina Migliardi, che insieme al collega Andrea Massimo Molè, ha seguito dal primo momento l'odissea della coppia e della loro bimba, che oggi ha quasi quattro anni e che, giustamente, non sa nulla di questa storia. “Un giorno le racconterò tutto quello che abbiamo fatto per questo suo riconoscimento – spiega Silvia. Non so come, perché di solito improvviso. Ma il messaggio che noi cerchiamo sempre di passarle è della diversità delle persone, dell'accettazione del diverso. Lei non è un caso particolare, è solo diversa come tutte le altre persone”.

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La vicenda della coppia e della loro bimba, nata con procreazione eterologa da donatore, ha inizio qualche anno fa, quando le due insegnanti parmigiane, insieme da una decina di anni, si uniscono civilmente, proprio mentre Giulia è in attesa.

Appena nasce la bimba l'allora sindaco della città ducale, Federico Pizzarotti, la iscrive all'anagrafe col doppio cognome. Ma dalla Procura parte un ricorso che dopo due anni comporta la cancellazione del cognome di Silvia, lasciando alla piccola solo quello della madre biologica.

“Un termine che a me non piace affatto” commenta la 39enne, che aggiunge: “Senza l'aiuto dei nostri avvocati non avremmo saputo come muoverci, noi siamo comuni cittadini che non sono avvezzi ad andare nelle aule di tribunale. Il loro supporto è stato molto prezioso”.

Dopo la cancellazione la coppia si è così rivolta al Tribunale dei minori di Bologna e alla fine i giudici hanno rimesso le cose apposto. “Siamo contente da una parte perché siamo riuscite ad acquisire dei diritti che legalmente non avevamo. Ma dall'altra è un po' una sconfitta, perché come genitori abbiamo dovuto adottare nostra figlia. Ad ora purtroppo è l'unica strada da percorrere”.

“Mancano delle leggi, non solo per noi ma per tutti i nostri figli, che cominciano ad essere tantini, spiega Giulia. Bisognerebbe un po' sistemare questo vuoto, perché ce ne sono state tantissime di stepchild, ma noi non vogliamo adottare i nostri figli”.

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“Da noi sono venute le assistenti sociali per vedere come crescevamo nostra figlia – continua Giulia – non è una cosa che di solito devono subire dei genitori. Siamo anche dovute andare per forza a fare un percorso psicologico con loro. Sono tutte cose che a nessun genitore eterosessuale vengono chieste: c'è quindi ancora molto da fare. Adesso forse possiamo rilassarci un po' – prosegue – però in fondo quello che abbiamo ottenuto non è esattamente quello che volevamo. Se a me fosse successo qualcosa, mia figlia all'epoca non sarebbe andata a sua madre, perché Silvia non esisteva”.

“Sul suo atto di nascita, lei ha avuto un genitore, poi due, poi ancora uno e adesso di nuovo due” sintetizza la stessa Silvia, mentre l'avvocato Migliardi sottolinea l'importanza delle parole utilizzate dal tribunale: "Sono parole importanti e faranno giurisprudenza. Si parla di famiglia come relazione affettiva che ha un progetto di vita comune – sottolinea ancora la legale, con la sentenza fra le mani. Si parla di sogni comuni sul futuro, quindi c'è una definizione di famiglia che è sicuramente una novità, perché mancando una norma, significa che dei magistrati si sono presi la responsabilità di rappresentare un concetto di cui abbiamo bisogno e che venga trasformato in una norma”.

Il tribunale per i Minorenni di Bologna, inoltre, scrive che l'adozione da parte della compagna della madre biologica risponde "pienamente al superiore interesse della minore, consentendole di godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità".

Si legge anche: "Il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità. La relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita costituisce a tutti gli effetti una famiglia, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore omoaffettività possa costituire un ostacolo formale".

“Credo che più se ne parli meglio è – conclude Silvia – per far sentire la voce dei diritti che non abbiamo, in tutti i campi. Speriamo ovviamente che un giorno le cose cambino: noi ci facciamo portavoce della nostra storia perché pensiamo che serva farci sentire”.

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