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Enrico Calamai, lo “Schindler di Buenos Aires” è italiano: salvò 300 persone dal regime

In Argentina lo chiamano lo “Schindler di Buenos Aires”: Enrico Calamai, da console negli anni della repressione militare, ha salvato più di 300 persone. I diritti umani come regola, sempre in mente. E una vita che vale la pena raccontare.
A cura di Giulio Cavalli
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Incontrandolo dal vivo colpisce il suo sorriso: sereno, pacificato. Le persone che hanno preso terribilmente sul serio il proprio mestiere quando sorridono hanno il sorriso che gli fa il giro di tutta la faccia a trecento sessanta gradi. E Enrico Calamai è uno di quelli che nella vita ha lasciato un segno: "lo Schindler di Buenos Aires" lo chiamano in Argentina, dove sono in molti a dovergli la vita e a parlare di lui con gli occhi pieni di gratitudine. I documenti e le testimonianze dicono che sono almeno 300 le persone salvate da Enrico Calamai tra il 1972 e il 1977, salvati dalla spietatezza dei militari argentini nel periodo nero della repressione.

Calamai nasce nel 1945 a Roma, si laurea in Economia e Commercio e inizia giovanissimo la carriera diplomatica. Viene inviato in Spagna e poi, nel 1972 in Argentina come vice console. Buenos Aires in quegli anni è metà italiana: sono molti gli italiani inseriti nella realtà politica e imprenditoriale ma il clima politico è teso con la presidente Isabelita Peron che si ritrova sempre più in difficoltà e con i militari pronti a rovesciare il governo. Due anni dopo, nel 1974, il golpe cileno intasa l'ambasciata italiana (almeno 450 persone chiedono asilo politico) e Calamai viene spedito a Santiago del Cile per sbrogliare la situazione. Il Governo italiano non vuole accettare le richieste dei rifugiati per non compromettere i rapporti con il Cile ma Calamai riesce comunque a salvare i richiedenti. È solo l'inizio.

Nel 1976 i generali argentini prendono il potere, il governo italiano (lacerato dallo scandalo della P2) irrigidisce i controlli per impedire agli Italo-argentini di rientrare in Italia. Calamai (tornato a Buenos Aires) non si perde d'animo e organizza insieme al fratello e all'inviato del Corriere della Sera Gian Giacomo Foà, il sindacalista Filippo Di Benedetto, un frate e alcuni volontari che lavorano in ambasciata, una "rete di salvataggio" per salvare gli italo argentini dalla repressione militare. Sono più di trecento le persone salvate dalla drammatica fine che toccò a moltissimi "desaparecidos" torturati, uccisi e gettati in mare, a volte direttamente dagli aerei. 300 persone sono un plotone pacifico di vite strappate ai gangli del destino. Calamai ha fatto ciò che sentiva giusto, al di là delle regole (e delle balbettanti mancate prese di posizione del governo italiano dell'epoca).

Senza fermarsi. Dopo quegli anni, prima della pensione, Enrico Calamai ha continuato a essere una voce libera intenta a condannare i regimi violenti sparsi per il mondo. Con la sua testimonianza ha anche contribuito a condannare 8 feroci militari argentini. I diritti umani come regola, sempre in mente. Domani se lo incontrate è un anziano signore con il sorriso luminoso. Ma dietro ha una storia meravigliosa. Così.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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