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Donatella, suicida in carcere. L’abbraccio tra le lacrime di papà e giudice: “Ci sentiamo in colpa”

Il papà di Donatella ha incontrato (e abbracciato, in lacrime) il magistrato veronese che ha seguito il caso della figlia: “Avevo i brividi, ci siamo sentiti sconfitti entrambi”
A cura di Biagio Chiariello
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"Io e il giudice piangevamo tutti e due. Ci sentiamo sconfitti e perdenti, ci siamo chiesti perdono. Avevo i brividi, la mia Donatella mi parlava sempre di questo magistrato come di un secondo padre, diceva che era l’unico ad aver preso a cuore la sua situazione. All’inizio nessuno trovava la forza di parlare, solo lacrime". A parlare è il papà di Donatella Hodo, la detenuta 27enne nel carcere di Montorio che si è suicidata la scorsa settimana.

Il riferimento è al giudice Vincenzo Semeraro che già in una lettera aveva manifestato la propria solidarietà ai familiari di Donatella. Il magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Verona dal 2016 seguiva personalmente il caso.

Il signor Nevruz e il giudice si sono visti ieri in forma privata:

Quando ci siamo visti ho proprio voluto dire al magistrato che non deve sentirsi in colpa, perché Donatella mi raccontava sempre l’impegno che lui ci metteva nel seguire la sua vicenda – dice al Corriere della Sera -. Questo giudice seguiva il caso di mia figlia con vera dedizione, le faceva visita in carcere, cercava soluzioni. Certe volte ho avuto la sensazione che la seguisse di più lui di me. Lei me lo descriveva come un secondo padre".

È l'uomo che dice ora di sentirsi in colpa per la morte della figlia: "Mi sto dilaniando nel dubbio. Dove ho sbagliato? In che cosa? Mai comunque mi sarei aspettato che la mia Dona facesse una cosa simile, mai", ammette.

"Sento che la mia vita senza Dona non vale più niente, sono io che ho fallito, non il giudice" dice, affranto.

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Donatella lottava contro la dipendenza dalla droga. Il padre l'ha portata in vari centri specializzati, anche fuori dall’Italia (due volte in Spagna, poi in Croazia e in Belgio) per guarire: "Salvarla era diventata la mia ragione di vita".

In un'occasione la giovane era ancora scappata di casa. Per due anni è stata in Spagna, quando il padre l'ha ritrovata "era in condizioni paurose. Pesava solo 24 chili, era uno scheletro… me la sono caricata e riportata a casa, l’ho accudita per tre mesi senza mai lasciarla finché si era ripresa. Purtroppo poi ci è ricascata di nuovo, anche allora non ho mai smesso di starle accanto, soccorrerla".

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Adesso chiede giustizia:

Su mia figlia non ho sbagliato solo io. Tutto il sistema ha fallito, e secondo me anche i controlli in carcere non sono stati adeguati. Per questo ho sporto denuncia, mia figlia purtroppo non tornerà però merita verità e giustizia".

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