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Processo sulla morte di Stefano Cucchi

“Cucchi è stato ucciso”: Procura accusa i tre carabinieri di omicidio preterintenzionale

Il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò hanno chiuso l’inchiesta bis sul decesso del geometra romano, contestando ad l’accusa di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri in servizio al Comando Stazione di Roma Appia che lo arrestarono il 15 ottobre del 2009, ritenuti i responsabili del pestaggio.
A cura di Claudia Torrisi
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cucchi perizia bis
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A otto anni dalla morte, il 22 ottobre del 2009, la procura di Roma dice chiaramente quello che la famiglia sostiene da tempo: Stefano Cucchi è stato ucciso. Il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò hanno chiuso l'inchiesta bis sul decesso del geometra romano, aperta nel novembre 2014, e hanno contestato l'accusa di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri in servizio al Comando Stazione di Roma Appia che lo arrestarono il 15 ottobre del 2009: Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco. Per i tre, si legge nell'avviso di chiusura delle indagini, anche l'accusa di abuso di autorità, per aver sottoposto il geometra "a misure di rigore non consentite dalla legge" e "l'aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza di Cucchi al momento del foto-segnalamento". Accusati di calunnia, invece, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stessa stazione, e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Tedesco – quest'ultimo accusato anche di falso verbale di arresto.

La procura ha scritto nell'avviso di chiusura indagine che Cucchi fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con "schiaffi, pugni e calci". Botte che provocarono "una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale" che "unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte".

Si aggrava, dunque, la posizione degli indagati: i carabinieri cui viene contestato il reato di omicidio erano stati indagati nel primo filone dell'inchiesta solo per lesioni personali aggravate; mentre Mandolini e Nicolardi – che ora dovranno rispondere di calunnia – per falsa testimonianza. L'accusa di omicidio preterintenzionale, tra l'altro, allontana il rischio prescrizione che incombeva su questa nuova inchiesta.

"Quello che voglio dire a tutti è che bisogna avere fiducia nella giustizia. E resistere", ha commentato Ilaria Cucchi, che su Facebook ha ringraziato pubblicamente Fabio Anselmo, il legale che durante questi anni ha seguito la famiglia nel difficile iter giudiziario.

"Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d'ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio", ha poi spiegato la sorella di Stefano all'Ansa. "Ricordate – ha aggiunto – la foto del mio pianto il giorno della lettura della sentenza di primo grado? Ci gettiamo alle spalle sette anni durissimi, di dolore, di sacrifici, di tante lacrime amare. Ma valeva la pena continuare a crederci".

"Bisogna esser soddisfatti dopo questo tipo di notizie. Aggiungo che dopo sette anni si può ripetere che avevamo avuto ragione allora a dire certe cose. La resistenza, nostra e della famiglia Cucchi, ha pagato", è stato invece il commento dell'avvocato Anselmo dopo la notizia della conclusione dell'inchiesta bis.

Il caso Cucchi

Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene arrestato a Roma, vicino al parco degli Acquedotti, in via Lemonia. I carabinieri lo trovano in possesso di alcuni grammi di hashish e cocaina. Durante la notte i militari lo accompagnano a casa e perquisiscono la sua stanza in sua presenza. Non trovano nulla di rilevante e portano Stefano nella caserma Appio-Claudio, dove lo chiudono in una cella di sicurezza. Quel giorno i carabinieri scrivono sul verbale che si tratta di un "albanese senza fissa dimora": "Il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva, visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la ‘mancanza di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti'". Non solo: ma nello stesso documento si scrive che "il prevenuto, interpellato, dichiara di non voler dare notizia del suo avvenuto arresto ai propri familiari", quando in realtà ai genitori il fermo era stato comunicato in diretta.

La mattina successiva Cucchi si presenta in aula per il processo per direttissima. Non riesce a camminare bene, ha difficoltà a parlare e ha evidenti ematomi all'altezza degli occhi. Secondo l'accusa, Stefano è stato picchiato selvaggiamente quella notte. Il giudice però sembra non notare i problemi del ragazzo, l'arresto viene convalidato e, nell'attesa di una nuova udienza, Stefano viene rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Le sue condizioni, però, peggiorano e viene trasportato all'ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Verrà dimesso con una diagnosi di "frattura del corpo vertebrale L3 dell'emisoma sinistro e frattura I° vertebra coccigea". Alcuni referti diranno in seguito che era "caduto dalle scale". Stefano rifiuta il ricovero e inizia un viavai tra il carcere e l'ospedale. Durante tutto questo tempo ai genitori viene impedito di vedere il figlio e al ragazzo di parlare con il suo avvocato. Viene ricoverato nel reparto penitenziario dell'ospedale Sandro Pertini, dove muore nelle prime ore del 22 ottobre, a quasi una settimana dal suo arresto, pesando 37 chili, disidratato, con il volto livido.

Iniziano le indagini e un lungo iter processuale alla ricerca della verità. Il 25 gennaio del 2011 vengono rinviate a giudizio dodici persone: sei medici del Pertini – Aldo Fierro, Stefania Corvi, Rosita Caponetti, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Silvia Di Carlo – tre infermieri – Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe – e tre guardie carcerarie, Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. Nel giugno del 2013 la terza Corte d'Assise condanna cinque medici e assolve gli altri imputati. Il 31 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Roma assolve tutti gli imputati per insufficienza di prove. Per la madre di Stefano è una "sentenza assurda. Mio figlio è morto ancora una volta". Nel dicembre del 2015 la Cassazione decide per un nuovo processo d'appello ai cinque medici, che si conclude con una nuova assoluzione per il personale sanitario.

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