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Cannabis, in Italia si parla solo di “light” mentre i problemi dei malati restano irrisolti

Mentre in Italia il dibattito è stato polarizzato dalla cannabis light, i pazienti si disperano e si sentono abbandonati da uno Stato che non li tutela. La problematica principale resta quella della carenza e della bassa produzione nazionale presso lo stabilimento chimico farmaceutico di Firenze, alla quale si aggiunge la mancanza di medici prescrittori e altre problematiche come quelle della patente per chi fa uso di cannabis.
A cura di Mario Catania
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In Italia sembra non esserci pace per i pazienti che utilizzano la cannabis terapeutica per trattare le proprie patologie. Mentre il dibattito è stato polarizzato dalla cannabis light, dall’incertezza normativa e dai continui sequestri, i pazienti di tutta Italia continuano a urlare il proprio disagio nell’indifferenza generale. Ciclicamente infatti in tutta Italia, con differenze a livello regionale, si verifica la carenza di cannabis ad uso medico che nei casi migliori porta i pazienti a dover diminuire sensibilmente l’assunzione della propria terapia, e nei casi peggiori ad interromperla, con effetti nefasti sul decorso delle proprie patologie.

Sono passati ormai più di 5 anni dall’avvio della produzione di cannabis ad uso medico presso lo stabilimento chimico farmaceutico di Firenze. Siamo stati i secondi in Europa, dopo l’Olanda, ad avviare un settore che sarebbe potuto diventare strategico anche per l’export, ma in realtà, a causa di diverse problematiche, la produzione ancora oggi non è in grado di soddisfare neanche lontanamente il fabbisogno interno di cannabis medica, figurarsi l’esportazione.

Nonostante sforzi e investimenti infatti fino ad oggi non si è mai riusciti a superare la soglia di 100/150 chilogrammi l’anno, mentre il fabbisogno italiano aumenta costantemente e ha ormai superato la tonnellata. Cannabis che, ancora oggi, in larga parte viene importata dall’estero con una spesa ingente.

Oggi tra i maggiori esportatori di cannabis ad uso medico troviamo il Canada, l’Olanda, Israele, che ha di recente aperto a questa possibilità. Ma anche la Germania, che avvierà molto più tardi di noi una produzione nazionale, è sulla buona strada per superarci. A febbraio il governo ha selezionato i futuri produttori nazionali di cannabis puntando al primo raccolto nel 2020 e ad una produzione di oltre 10 tonnellate l’anno da raggiungere nei prossimi 4. A Firenze hanno annunciato da poco che per il 2020 la produzione si attesterà su circa 300 chilogrammi.

Manca la cannabis in tutta Italia

E intanto la carenza di cannabis torna a farsi sentire in tutta Italia. Nell’ultimo periodo abbiamo assistito allo sciopero della fame di una paziente per la mancanza e il costo della terapia, alle diverse denunce del dottor Marco Bertolotto, che ha divulgato un video in cui spiega che: “E’ un dato ciclico: noi sappiamo che più volte l’anno succede che i nostri pazienti sono abbandonati dallo stato” e pubblicato su Facebook la lettera di un altro paziente disperato, alle quali si sono sommate quelle di diverse associazioni di pazienti.

“La carenza, che si verifica in tutta Italia a macchia di leopardo, è terribile”, sottolinea Elisabetta Biavati, fondatrice della onlus Associazione pazienti cannabis medica ODV. “Ci sono delle oasi felici come la Lombardia e l’Emilia Romagna, e poi ci sono delle vere e proprie emergenze, come sta accadendo in Liguria”. Altra problematica sta sorgendo in alcune regioni che, con un’apposita legge, hanno stabilito che la prescrizione debba sempre essere fatta dagli specialisti in ospedale. E’ ad esempio il caso del Lazio, dove il problema si ripercuote sui pazienti perché secondo Elisabetta “non si trovano gli specialisti ed è stato complicato l’accesso alle cure aggiungendo la difficoltà di dover tornare ogni mese in ospedale per rinnovare la ricetta”. Problema che si somma ai medici che in generale, per una mala interpretazione dell’obiezione di coscienza, si rifiutano di prescriverla: “Nonostante legalmente non potrebbero rifiutarsi, succede ancora oggi in diversi casi”.

Pazienti e patente

A questo si aggiunge l’annoso problema della patente per i pazienti che utilizzano quotidianamente la cannabis. In assenza di una legge specifica infatti la valutazione viene fatta dalle commissioni medico-legali, che valutano caso per caso le condizioni del paziente e la documentazione medica. Se fino a poco tempo fa i pazienti autorizzati a guidare si contavano sulle dita di una mano, oggi aumentano leggermente, ma il problema rimane a monte. Nel decreto Lorenzin di fine 2015, fu infatti stabilito il divieto di mettersi alla guida nelle 24 ore successive all’assunzione di cannabis: per i pazienti che l’assumono tutti i giorni equivale al divieto di guidare, cosa che può comportare diversi problemi. “Avevamo chiesto una modifica del decreto, ma ad oggi non sono stati passi avanti”, commenta.

I problemi in Liguria e Sicilia

In Liguria, come detto, la situazione è molto complessa. La Regione prevede la prescrizione a carico del servizio sanitario regionale quando la cannabis è dispensata dalle farmacie ospedaliere, dove spesso scarseggia. Per ovviare al problema era stata avviata una trattativa per creare una convenzione con le farmacie private, con un corso regionale ad hoc per i farmacisti, che però non è diventata effettiva. Altro problema è che ad esempio la ASL 3, quella di Genova, non effettua la preparazione dell’olio di cannabis, motivo per cui i pazienti sono costretti a recarsi a Savona o Chiavari, intasando di richieste le ASL. L’associazione InfioreScienza, fondata da Valentina Zuppardo e Mirko Figoli, si sta interfacciando con la regione per tentare di risolvere la situazione, ma fino ad ora, al di là delle rassicurazioni, nulla è cambiato.

Altra situazione limite è quella della Sicilia, dove la Regione non prevede il rimborso della cannabis per i pazienti, che sono quindi costretti a pagare la terapia con esborsi notevoli. Il presidente dell’associazione Cannnabis Cura Sicilia, Alessandro Raudino, affetto da sclerosi multipla, denuncia da tempo le difficoltà dei pazienti e il tavolo regionale aperto un anno fa per risolvere il problema non ha portato a nessun risultato. Secondo Alessandro una soluzione potrebbe essere quella di permettere ai pazienti di coltivare le piante di cui hanno bisogno, un’idea che in Canada hanno messo in pratica da tempo, dando addirittura la possibilità ai pazienti impossibilitati a coltivare per i loro problemi fisici, di nominare qualcuno che lo possa fare al posto loro. In questi giorni ha raccontato come 5 giorni di carenza di cannabis per lui abbiano significato una grave complicazione nella sua patologia, con l’irrigidimento di muscoli e nervi, che causa sofferenza e mobilità ridotta. Una problematica risolta in pochi minuti dopo aver assunto cannabis.

Intanto il ministro della Salute ha più volte aperto alla produzione da parte dei privati per sopperire alla mancanza, ma non sono stati fatti passi avanti; negli ultimi giorni è stato aggiudicato un bando di importazione straordinaria di 400 chili di cannabis dall’estero, che arriverà, forse, in autunno. Nel frattempo i pazienti aspettano e si disperano, sentendosi abbandonati dallo Stato che dovrebbe tutelarli.

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