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Automobilista le insulta, due vigilesse chiedono aiuto al clan per vendetta: auto rubata

Le due vigilesse sospese dal servizio dopo gli atti dell’inchiesta “Codice interno” che ha portato alla luce pesanti collusioni politico mafiose a Bari e i legami tra clan, politici e imprenditori locali con l’arresto di ben 130 persone.
A cura di Antonio Palma
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Due vigilesse della polizia locale di Bari sono state sospese dal servizio con la pesante accusa di aver chiesto aiuto ad alcuni esponenti dei clan criminali della città per vendicarsi di un automobilista che le aveva insultate in strada dopo un diverbio. L'incredibile storia arriva dagli atti della complessa inchiesta "Codice interno" che ha portato alla luce pesanti collusioni politico mafiose a Bari e i legami tra clan, politici e imprenditori locali con l’arresto di ben 130 persone.

Secondo l'accusa, le due agenti avrebbero chiesto aiuto a un fedelissimo del clan Parisi di Japigia, chiedendogli di intervenire per punire una persona che aveva rivolto nei loro confronti frasi particolarmente pesanti dopo essere stato fermato in strada per aver ignorato un semaforo rosso. L'uomo quindi sarebbe intervenuto per vendicare il torto subito e all’automobilista, poco dopo, fu rubata la macchina.

Un comportamento, quello delle vigilesse, che sarebbe emerso proprio seguendo le attività dei clan del capoluogo pugliese Parisi-Palermiti, Strisciuglio e Montani di Bari e i loro rapporti con il mondo politico e imprenditoriale barese. I pm negli atti hanno sottolineano  “il comportamento di assoluta riverenza assunto dalle due vigilesse”, che si sarebbero rivolto ai clan invece che all'autorità giudiziaria, nonostante la divisa che indossavano.

Ben cinque sarebbero state le telefonate all'esponente mafioso per chiedergli di intervenire. Secondo gli inquirenti, “l’autorità da loro riconosciuta è quella criminale mafiosa visto che entrambe si rivolgono” ad un fedelissimo del clan “per metterlo al corrente del comportamento penalmente rilevante tenuto dal trasgressore”.

Anche se non ci sono prove dirette che il furto dell'auto sia opera dello stesso uomo contattato dalle due vigilesse, gli investigatori sostengono di avere "buone ragioni per ritenere che la vecchia utilitaria” sia “stata rubata per ordine” del fedelissimo del clan “come ritorsione al comportamento irriguardoso tenuto dall’uomo nei confronti delle vigilesse”.

“Un episodio certamente spiacevole ma che non giustifica l’operato dei predetti pubblici ufficiali, i quali sono perfettamente consapevoli che un furto commissionato o delle lesioni procurate o altro genere di ritorsione di tipo mafioso sono azioni che non possono avere origini da appartenenti della Pubblica Amministrazione ed in questo caso da due agenti di Polizia Giudiziaria e Pubblica Sicurezza” scrivono ancora i pm. L'auto dell'uomo coinvolto nell'episodio fu rubata e ritrovata lo stesso giorno della denuncia.

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