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13 cose che devi sapere se apri ora la partita Iva (se no sei fottuto)

Devi aprire la partita Iva ma non sai come funziona, le tasse che dovrai pagare, il regime dei nuovi minimi? Sarà meglio leggere questa semplice guida. O potresti rimanere fottuto.
A cura di Michele Azzu
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Dire “Ho la partita Iva”ormai è sinonimo di sfruttamento, precariato, tasse altissime. Ma con la disposizioni inserite nella Legge di Stabilità che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2015, ora all’esame del Senato, la situazione non migliora. Anzi, per i giovani scompare il regime fiscale agevolato: sembrano proprio loro i più penalizzati. Se stai pensando di aprire partita Iva pensaci bene, anzi benissimo. Perché potresti andare incontro a dei rischi che ancora non conosci. E se devi proprio aprirla sarà meglio che tu lo faccia entro il 31 dicembre, col vecchio sistema dei minimi. Ecco una semplice guida di Fanpage.it per aiutarti a prendere la decisione più giusta. E a non rimanere fottuto.

1. Un consiglio semplice semplice per cominciare: qualsiasi cifra guadagni a partita Iva fai conto che il tuo guadagno reale sarà poco più della metà. Il resto se lo prendono le tasse. E in più non avrai alcuna tutela: ferie, giorni di malattia, maternità, ammortizzatori sociali.

2. Se ricorrono almeno due di queste condizioni devi sapere che sei una finta partita Iva, ovvero una persona che svolge un lavoro dipendente mascherato da lavoro autonomo.

3. Fino ad oggi i giovani (fino ai 35 anni) potevano usufruire del regime fiscale dei minimi, in cui si paga un 5% di Irpef e il 28% di Inps (nel caso della gestione separata) per un totale di 33% di tasse sul reddito (tecnicamente è errato parlare di tasse perché l’Inps rientra nei “contributi”, ma il conteggio spiegato semplice è questo). Questo 33% in realtà diventa di più alla fine dell’anno, perché ci si trova a dover pagare l’acconto sulle tasse dell’anno successivo che (a spanne) equivale a un terzo del totale delle tasse appena pagate. Nonostante questo il regime dei minimi rimane un buon compromesso. Ma da gennaio 2015 non esisterà più. C’è un nuovo “regime di vantaggio” in cui il 5% di Irpef diventa il 15%, da calcolare su un sistema forfettario che è un gran casino (ci arrivo dopo). L’età, dicevo, non conta: sarà applicabile solo a seconda dei limiti di reddito che variano da categoria professionale all’altra. Ad esempio, se sei un commerciante all’ingrosso puoi adottare questo regime se guadagni non oltre i 40mila euro l’anno. Se invece sei nelle professioni sanitarie, o uno sfigatissimo freelance, il limite è 15mila euro l’anno (cioè pochissimo). Insomma, per la maggior parte di noi sarà molto difficile accedervi.

4. La più grande fregatura del regime dei minimi – vecchi e nuovi – della partita Iva è costituita dall’Inps. Cioè dai contributi che ognuno di noi paga per avere la pensione in futuro. L’Inps, infatti, è al 28% nella categoria della gestione separata, in cui rientrano tutti i freelance e i precari. Ma questo 28% verrà portato gradualmente fino al 33% entro il 2019, che assieme all’Irpef aumentato al 15% fa in modo che le tasse arrivino al 50% di quello che guadagni. E questo senza avere la minima idea di quanto avrai di pensione in futuro (ma gli esperti confidano in una cifra misera). Lo scandalo vero, qui, è che la gestione separata è l’unica cassa dell’Inps che ha i conti in attivo, mentre le altre – quelle delle professioni – sono in rosso. Cosa significa? Che probabilmente non avrai mai la pensione, ma con le tue tasse la pagherai a tutti gli altri.

5. Se sei una partita Iva, specialmente se sei giovane, devi essere cosciente di un fatto: ogni cosa che ti verrà promessa sarà una menzogna. Perché non hai un sindacato o nessuno che ti tuteli. Ricordi gli 80 euro di Renzi? “Valuteremo anche per le partite Iva”, aveva detto il premier, ma poi non se n’è fatto nulla. E gli ammortizzatori sociali? Anche lì, si disse che forse si poteva pensare anche alle partite Iva, ma non è successo.

6. Mentre all’estero i professionisti fanno tranquillamente la dichiarazione dei redditi online, in Italia il sistema – e questi nuovi provvedimenti non faciliteranno la vita – è talmente complicato e soggetto a modifiche di mese in mese, che è necessario rivolgersi a un commercialista. Quindi, alle tasse da pagare aggiungete pure tra i 500 e i 1.000 euro annuali di onorario. E sperate di trovarne uno bravo.

7. Veniamo al nuovo calcolo dei costi. Mentre coi vecchi minimi il 5% di Irpef (così come il 28% di Inps) si calcola sui ricavi meno i costi ora arrivano i “coefficienti di redditività”. Che significa? Che se fino ad oggi un freelance poteva cercare di fare più costi possibili per abbassare il reddito, da ora in poi è lo Stato a dirti quanti costi hai fatto. In base alla tua categoria: il coefficiente è il 40% per i commercianti all’ingrosso, il 78% per i freelance. Per questi ultimi significa che su 12.000 di ricavi lo Stato dice che hai sostenuto il 22% di costi. Che è davvero poco: inutile comprare Mac, iPad e iPhone. Aldilà dell’aumento dell’Irpef questa è forse la stangata più dura alle partite Iva, perché proprio sui costi si sotiene la sostenibilità di questa forma di lavoro: se ne hai tanti la partita Iva fa per te, se no lascia stare.

8. Chi ha oggi l’attuale regime dei minimi non deve spaventarsi: continuerà ad averlo fino alla fine del suo svolgimento: 5 anni o fino al compimento dei 35 anni di età.

9. C’è un provvedimento per chi apre una nuova attività (startup) e quindi, presumibilmente, i giovani. Per i primi tre anni ci si potrà ridurre di un terzo il reddito, e su questo calcolo pagarci le tasse. Ho dei ricavi che ammontano a 15.000 euro l’anno? Bene, il 15% di Irpef e il 28% di Inps – nel caso della gestione separata – vanno calcolati su 10.000 euro di ricavi. Una piccola differenza che, a conti fatti, non eguaglia minimamente i vantaggi del precedente regime dei minimi (quello attuale) in cui facendo molti costi, come sempre succede a una nuova attività, si poteva arrivare a dichiarare addirittura un reddito pari a zero (o molto basso).

10. Un’altra grande ingiustizia della partita Iva: il sistema degli acconti. Di che si tratta? Finite di pagare le tasse – a rate o in un colpo solo se si è riusciti a mettere da parte qualcosa – un lavoratore si trova a dover anticipare allo Stato addirittura una parte delle tasse dell’anno che deve ancora venire (il calcolo si basa sui tuoi conti dell’anno appena concluso e appena tassato). Hia appena pagato 4000 euro di tasse e pensi di avercela fatta? Non è così, devi sganciarne altri 1.300 come secondo acconto. Credete che questo rialzo dell’Irpef, l’abolizione dei costi, la cancellazione del regime di vantaggio per i giovani abbiano avuto come vantaggio almeno la fine di questa incredibile ingiustizia? Macché. Gli acconti rimangono.

11. Nel vecchio regime dei minimi per i giovani i costi hanno dei limiti precisi. Si possono detrarre solo le cose direttamente necessarie al proprio lavoro. Un computer, l’arredo per l’ufficio. Una telecamera se si fanno riprese, i viaggi di lavoro, i pasti di lavoro. Rimangono fuori tante cose, quindi, ad esempio i medicinali. Per questa ragione molti scelgono di passare al regime fiscale non agevolato, quello normale, dove si finisce a pagare, tra Irpef e Inps attorno al 50%-60% di tasse. Ma qui, appunto, le detrazioni hanno meno paletti, si possono detrarre molte più cose (e togliendo i costi i ricavi su cui pagherai le tasse si abbassano). Ora coi nuovi minimi della Legge di Stabilità il conteggio dei costi non ci sarà neanche più: è lo Stato a dirti, categoria per categoria, quanto è il tuo regime forfettario, cioè quanti costi hai sostenuto. Ma se passando al regime fiscale normale si può sempre detrarre di tutto non si capisce dove diavolo sia il vantaggio in questi nuovi minimi, dove di costi non se ne possono fare.

12. Non conta essere giovani: si accede al nuovo regime di vantaggio in base a quanto si guadagna. E alcune categorie vengono avvantaggiate rispetto a prima – su tutti i commercianti – molte altre, quelle più precarie, vedono il limite dei 15.000 euro di reddito l’anno per accedere a questo regime come impossibile. Parliamoci chiaro: se uno guadagna 15.000 euro a partita Iva fa anche fatica a vivere, probabilmente vive dai genitori. Ma se ne guadagna 20.000 o 25.000 lordi l’anno, sono sempre 1.000 euro al mese, e la situazione è comunque difficile.

13. Devi proprio aprirla questa partita Iva? E allora inizia a mettere soldi da parte da subito, più che puoi. Non riesci perché fatturi pochissimo, ti pagano le fatture dopo mesi, devi pagare l’affitto, le bollette, il cibo e i vestiti e i ticket all’ospedale? Allora sei fregato.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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