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Opinioni

Cosa succede nel PD e come potrebbe andare a finire

E adesso, cosa succede nel PD? Sarà scissione? chi abbandonerà i democratici e chi invece tornerà sui propri passi? E quanto può valere una nuova forza a sinistra del PD?
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L’esito dell’assemblea PD è stato talmente incomprensibile da risultare spiazzante, anche per gli addetti ai lavori. Basti pensare che persino un parlamentare accorto e smaliziato come Fiano, intervistato a caldo da Mentana, confessava candidamente di “essere in difficoltà nel tracciare un bilancio della discussione”. E intorno era un profluvio di dichiarazioni standard (“è positivo che ci sia dibattito”) e di “vedremo”, “aspettiamo”. Qualcosa di più si è capito in serata, e poi ancora in questa giornata.

La situazione, da un punto di vista meramente formale, è la seguente: la fase congressuale si è aperta, come da statuto, dal momento che le dimissioni di Renzi non sono state respinte e l'Assemblea Nazionale di ieri non ha eletto un nuovo segretario; ora la Direzione Nazionale è chiamata a indicare il percorso congressuale, sancendo i tempi della presentazione delle mozioni, della discussione nei circoli e delle primarie fra i candidati "preselezionati dai circoli"; indicativamente, i primi giorni di maggio dovrebbero tenersi le primarie per la scelta del nuovo segretario.

Questo percorso, nei modi e nei tempi, non è condiviso dalle minoranze interne, che chiedevano prima una “conferenza programmatica” (prevista dallo statuto del partito) per riscrivere la piattaforma politica del PD, poi il Congresso vero e proprio, con primarie in autunno e dunque il voto per le politiche al termine della legislatura. Renzi però ha scelto di non trattare, di “alzare un muro”, come dicono i bersaniani, oppure di “non cedere ai ricatti”, come sostengono i suoi fedelissimi. Va detto che le richieste della minoranza sono "cambiate nel corso del tempo", dal momento che, solo qualche mese fa, si chiedeva un congresso anticipato e si spiegava di voler valutare gli atti del Governo Gentiloni "di volta in volta". Ora, invece, tra le condizioni poste, c'era una dichiarazione di sostegno al Governo e la "promessa" a non staccare la spina.

Nei giorni che hanno preceduto l’Assemblea, sembrava che la minoranza fosse riuscita a compattarsi intorno a una linea comune, ma il dibattito e gli avvenimenti successivi hanno mostrato che così non è e che, anzi, mai come ora è necessario parlare di “minoranze”.

C’è il governatore della Toscana Enrico Rossi, pronto a restituire la tessera del PD e già proteso verso la creazione di un nuovo soggetto politico, a partire da un gruppo parlamentare che dovrebbe nascere nei prossimi giorni, del quale farebbe parte anche la componente in uscita da Sinistra Italiana.

Ci sono i bersaniani, che fanno sapere che non parteciperanno alla direzione di domani e, a questo punto con ogni probabilità, nemmeno alla fase congressuale, rendendo dunque ineluttabile la scissione: è il nucleo numericamente più consistente, che avrebbe sostenuto la candidatura di Roberto Speranza alla segreteria del partito, a patto di avere la possibilità di giocare una partita "ad armi pari". Oltre alla necessità di una riflessione di tipo "politico – ideologico", i bersaniani insistono nella critica a una conduzione del partito da parte di Renzi, fatta di forzature e di un fastidio per la discussione e il dissenso, che avrebbe finito con il "distruggere il PD". Se i bersaniani uscissero, sarebbero la guida del nuovo soggetto politico a sinistra del PD e i progetti "degli altri" finirebbero con l'essere risucchiati: al momento, alcuni sondaggi, parlando di uno spazio potenziale vicino al 10% dei consensi.

C’è Michele Emiliano, che dopo l’abbraccio con Rossi e Speranza sembra più tormentato e meno sicuro della strada da intraprendere (le due versioni contrastanti a distanza di poche ore rendono bene l’idea del momento che sta vivendo il governatore della Puglia). Emiliano, del resto, potrebbe uscire “per conto suo” dal partito e avvicinarsi alla creatura di Fratoianni, che ieri ha ospitato de Magistris e Civati, più affini all’idea di sinistra che ha in mente l’ex magistrato.

C’è poi il gruppo dei pontieri, capitanato dal ministro Andrea Orlando, che anche oggi si è detto disponibile a candidarsi per evitare la scissione. L’idea alla base di un simile percorso è che Orlando possa guidare il partito lasciando poi che “gli altri” si contendano alle primarie la guida della “coalizione” elettorale (certo, bisognerebbe prima cambiare lo Statuto…). Difficile che una simile mediazione vada in porto, anche considerando l'indisponibilità di Renzi alla conferenza programmatica e alla "reggenza" temporanea (il problema è che Renzi vuole votare il più in fretta possibile, diciamo). In ogni caso, Orlando e gli altri mediatori non usciranno dal PD.

Sullo sfondo, c'è sempre Massimo D'Alema, che lavora spedito per la costruzione di un nuovo soggetto politico e attende di capire quali (quanti?) fuoriusciti dal PD incroceranno la sua strada.

Poi c'è Pisapia, in campo con un progetto che avrebbe potuto e dovuto supportare il Partito Democratico "da sinistra" e che ora potrebbe invece essere una delle architravi di una sorta di "coalizione dei fuoriusciti", un polo in grado di raggruppare le diverse anime e proporre una soluzione "da sinistra" all'uscita dalla crisi, alternativa al riformismo di stampo renziano, ma al tempo stesso disponibile a scenderci a patti. Miracoli del proporzionale, insomma.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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