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Quando Cosa nostra uccise Beppe Montana, il poliziotto che catturava i latitanti

Mentre Falcone e Borsellino preparavano il maxiprocesso, la sera di una domenica di luglio del 1985, a Porticello, i sicari di Cosa nostra uccidono il poliziotto Beppe Montana, collaboratore del pool antimafia. Aveva solo 35 anni.
A cura di Angela Marino
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Estate 1985. Mentre i giudici del pool antimafia, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono in ritiro nella sperduta isola dell'Asinara per preparare l’istruttoria al maxi processo che vedrà a giudizio tutti i pezzi da 90 di Cosa nostra, a Palermo, anche la mafia sta pianificando le sue strategie.

Le rivelazioni del superpentito Tommaso Buscetta a Falcone avevano portato all'arresto di oltre 600 mafiosi nel famoso "maxiblitz di San Michele". Nell'operazione che prelude al più grande processo di mafia che si stia per celebrare nel carcere dell'Ucciardone di Palermo, si distingue un giovane poliziotto, Giuseppe Montana, nativo di Agrigento, arrivato a Palermo nel ’82, all’indomani dell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Beppe era un uomo della sezione ‘Catturandi‘, la squadra che lavorava per arrestare i mafiosi ancora latitanti. Insieme al giudice Antonino Cassarà, braccio destro di Falcone, diventò a soli 34 anni uno degli investigatori più abili. I colleghi avevano cominciato a chiamarlo Serpico come  l'indimenticabile Al Pacino nel film di Sidney Lumet sulla mala di New York.

L'agguato

La sera di una domenica di luglio a Porticello, in località Santa Flavia, a pochi chilometri da Palermo, Beppe si trova a bordo del motoscafo "Speedy el Sud" di ritorno da una gita in mare con la fidanzata Assia e gli amici. Alle le 21 mette piede a terra. Ha ancora il sale sulla pelle, i capelli umidi e il costume da bagno: è così che, davanti alla fidanzata, lo sorprendono i colpi di una 357 Magnum e una calibro 38. I sicari di Cosa nostra gli sparano dritto in faccia, lasciandolo in un lago di sangue.

Le indagini

L'omicidio del giovane capo della Catturandi non fa che esasperare quella guerra senza esclusione di colpi che si stava combattendo tra mafia e Stato. Adesso bisognava reagire, colpire duro, trovare immediatamente i killer di Serpico e processarli. Le indagini portano all'identificazione di Salvatore Marino, un pescatore di 25 anni, calciatore nel Bagheria, a cui risulta intestata l'auto avvistata sul luogo del delitto. Il ragazzo, picciotto alle prime armi, potrebbe aver partecipato all'agguato come palo. Viene convocato dagli inquirenti per essere ascoltato come teste.

Il caso Salvatore Marino

L'interrogatorio segna uno dei più importanti passaggi nella guerra tra Stato e mafia. Quando arriva negli uffici della Mobile diretta da Antonino Cassarà, il ragazzo è solo. In venti, tra polizia e carabinieri, lo torchiano tutta la sera, ma Salvatore non dice nulla di utile, né sull'auto né sulla somma di diverse decine di milioni di lire, trovata in casa sua. I toni diventano violenti, i modi anche, volano calci e pugni, ma il ragazzo continua a dare risposte incongruenti e confuse. Allora lo prendono di forza, lo stendono su due tavoli, lo incappucciano e lo costringono a ingollare litri di acqua salata attraverso un tubo piantato giù per la gola. Un metodo di tortura che usavano i fascisti con i prigionieri durante la Seconda Guerra mondiale, rimasto tristemente nell'uso di certi poliziotti ‘duri' anche nel dopoguerra. Alle 4,10 del mattino Salvatore Marino muore nella stanza al secondo piano del chiostro che ospitava gli uffici della Mobile. L'autopsia trova sul suo corpo i segni delle torture. Sulla spalla ha anche l'impronta di un morso.

L'omicidio di Ninni Cassarà

La morte di quel ragazzo solleva un insurrezione popolare contro il Governo. L'allora ministro degli Interni, Oscar Luigi Scalfaro rimuove i vertici di polizia e carabinieri di Palermo: Francesco Pellegrino, Gennaro Scala e Giuseppe Russo. Parte un'indagine per omicidio a carico di polizia e carabinieri. Da un'altra parte, altri uomini di potere preparano una risposta a questo terribile episodio. Il 6 agosto, davanti alla sua abitazione di via Croce Rossa, a Palermo, il giudice Ninni Cassarà viene freddato dai kalashnikov dei cecchini appostati al sesto piano di un edificio in costruzione.

La talpa

L'uomo di fiducia di Falcone è stato assassinato per vendicare Salvatore, ma non solo. Bisogna aspettare il 1994 per sapere quale fosse il movente dell'omicidio di Beppe Montano e in parte, quello del giudice Cassarà. Il pentito Francesco Marino Mannoia, fratello di Salvatore, rivelerà che i due delitti furono pilotati da una ‘talpa' di Cosa nostra negli uffici della polizia.

Un agente della squadra Catturandi aveva riferito la voce secondo la quale Cassarà e Montana avrebbero dato ordine di uccidere, prima della cattura, Pino Greco, Mario Prestifilippo e Giuseppe Lucchese. Così i capi della Commissione avrebbero deciso all'unanimità di far uccidere prima Montana e poi Cassarà. Grazie alle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, Totò Riina, Michele Greco, Francesco e Antonio Madonia, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Raffaele e Domenico Ganci, Salvatore Buscemi, Giuseppe e Vincenzo Galatolo, vengono condannati all'ergastolo per l'omicidio di Beppe Montana. Fine pena mai, anche per l’esecutore materiale del delitto, Giuseppe Lucchese. I soli Riina, Greco, Madonia, Provenzano, e Brusca verranno condannati come mandanti dell'omicidio Cassarà.

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