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La Francia combatte per i diritti che qui ci hanno già tolto

In Francia una legge (più democratica del nostro ‘jobs act’) ha sollevato la protesta di cittadini, sindacati e dato vita a presidi e manifestazioni di piazza. La lezione francese dovrebbe essere al centro del dibattito politico italiano. E invece niente.
A cura di Giulio Cavalli
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A Parigi accade qualcosa che sembra troppo sconveniente raccontare qui da noi: migliaia di persone sono in piazza da giorni per protestare contro una riforma del lavoro che, per l'ennesima volta in Europa, decide di spostare la bilancia dei diritti dalla parte dei padroni. Il turbocapitalismo europeo che soffia di questi tempi passa anche per la Francia ma lì trova un muro semplice, civico, quasi banale: la gente. Perché la battaglia francese non è solo politica e nemmeno ad appannaggio dei sindacati, ma tiene insieme i lavoratori in una rappresentanza più larga di qualsiasi sigla: è la battaglia sociale che si fa argine.

Perché l'Italia non riesce a girare lo sguardo dalla parte dei francesi? Perché a vederli da qui, quelle 3000 sentinelle che ogni sera presidiano Place de la République a Parigi e i lavoratori che bloccano l'accesso alla raffineria della Esso vicino a Marsiglia, sono probabilmente uno schiaffo all'indolenza italiana che supinamente ha già accettato il nuovo corso di un capitalismo che involve i cittadini in manodopera a prezzi (e diritti) stracciati.

Come racconta bene Michele Azzu nel suo articolo la riforma del lavoro voluta dal governo francese (e adottata, guarda un po', senza passare dal Parlamento) è in molti aspetti addirittura più democratica del nostro chiacchierato Jobs Act: i francesi, ad esempio, non hanno avuto il coraggio di osare la formula dei "voucher" con cui si legittima il lavoratore "al chilo" come un buono sconto da presentare alla cassa del supermercato. Eppure la facilitazione di licenziamenti, l'abbassamento dell'indennità lavorativa e lo sbriciolamento del diritto di reintegro sono bastati per fare saltare il tappo del governo. Le proteste non si fermeranno, dicono i sindacati, finché la legge non sarà ritirata.

Ecco perché oggi la Francia ci impartisce una lezione di democrazia: pur stretta nella morsa di una crisi ormai internazionale la resistenza francese ci ricorda ostinatamente come sia falso il refrain di chi dice che la ripresa passi solo dalla svalutazione del lavoro. Ci sono momenti storici in cui diventa indispensabile alzare la voce (e vale la pena sottolineare che le proteste francesi sono praticamente prive di violenza, al contrario della risposta delle forze dell'ordine) per difendere i diritti: la narcolessia civile italiana e la narrazione tossica della politica hanno spostato l'opinione pubblica sulla colpevolizzazione aprioristica di chi non è d'accordo. Gli scioperi, le manifestazioni e le proteste sono diventate il sinonimo di pratiche antidemocratiche dimenticando che i diritti, soprattutto quelli dei lavoratori, sono passati quasi sempre da forti movimenti popolari piuttosto che dalle cortesie di governo. Oggi la sinistra italiana (ma non solo) avrebbe l'occasione di conciliare un sentimento popolare con una discussione che assuma contorni europei. La battaglia francese è la stessa battaglia per cui qui da noi si vorrebbe fare un referendum abrogativo (a proposito, avete notato come sia sparita la discussione sul referendum contro il jobs act?) eppure qui siamo a litigarci i santini della sinistra che fu.

C'è una sorgente di futuro, in Francia e una repressione per niente democratica. Eppure qui sembra non accorgersene nessuno.

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