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Cosa è la giornata internazionale dei rom e sinti?

L’8 aprile del 1971 a Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popolo Rom e si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom riconosciuta dall’ONU nel 1979. Ma ecco chi è davvero il popolo romanì, al di là di ignoranza e pregiudizi.
A cura di Davide Falcioni
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Manifestazione Rom contro il piano nomadi del sindaco di Roma Gianni Alemanno

Si celebra oggi in tutto il mondo la giornata internazionale dei rom e dei sinti, istituita in ricordo dell'8 aprile del 1971, quando a Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popolo Rom e si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom riconosciuta dall'ONU nel 1979.

I rom in tutta Europa sono circa 11 milioni. La Romania è il paese che ne ospita il maggior numero (circa 2 milioni), ma dati rilevanti si registrano anche in Spagna, Ungheria e Bulgaria (con circa 800mila presenze). Secondo i dati presentati nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione dei Rom, Sinti e Caminanti, approvato il 9 febbraio 2011 dalla Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, in Italia vivrebbero 170 – 180 mila rom, corrispondenti allo 0,23% della popolazione totale. Di essi, secondo il Ministero del Lavoro, almeno 70mila sono cittadini italiani. Per il Ministero dell’Interno, le famiglie che ancora viaggiano in carovana, e quindi da considerarsi effettivamente “nomadi”, rappresentano solo il 2-3%. Per questa ragione, definire i rom "nomadi" è profondamente sbagliato e non rappresentativo della realtà. Circa 40mila di loro vive nei campi: i restanti 140mila invece nelle normali abitazioni

"I rom – spiega il rapporto dell'Associazione 21 luglio – possono essere distinti in tre gruppi principali, in relazione alla cittadinanza e al periodo di immigrazione: un primo gruppo è composto da circa 70 mila persone (cittadini italiani) presenti in Italia
da oltre 600 anni e distribuito su tutto il territorio nazionale; un secondo gruppo è costituito da circa 90 mila rom balcanici, arrivati negli anni ’90 in seguito alla disgregazione della ex Jugoslavia e stabilitisi principalmente nel nord e nel centro Italia; un terzo gruppo di immigrazione più recente, composto di rom di nazionalità romena e bulgara, presenti principalmente nelle grandi città".

La discriminazione dei cittadini rom e sinti ha una lunga storia: da secoli la loro immagine è legata a forme di devianza  e criminalità, tanto che un recente sondaggio condotto dall’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione ha dimostrato come solo lo 0,1% degli intervistati (3.000 cittadini italiani) abbia risposto correttamente a tutte e quattro le domande somministrate, dimostrando di avere una conoscenza scevra da pregiudizi della realtà rom e sinta in Italia.

Ma facciamo un po' di chiarezza con l'aiuto dell'Associazione 21 Luglio, organizzazione indipendente la cui mission è la promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia, con una particolare attenzione alla tutela dell’infanzia e alla lotta alla discriminazione. L'Associazione collabora con le principali organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani e periodicamente redige rapporti per diversi Comitati delle Nazioni Unite.

Cittadinanza e apolidia
Le comunità rom giunte in Italia negli anni ’90, dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, non potendo dimostrare la loro identità, devono essere considerati perlopiù apolidi di fatto. Difficilmente possono diventarlo di diritto e per questo resta pendente la questione fondamentale della regolarizzazione. In alcuni insediamenti si registra la presenza di tre generazioni di rom in condizioni di apolidia di fatto. Tale condizione preclude il pieno godimento dei diritti umani e costituisce un ostacolo concreto ad una positiva inclusione sociale. In Italia, uno dei nodi centrali resta legato al mancato riconoscimento dei rom e dei sinti in quanto minoranza attraverso una legge nazionale. I rom e i sinti ad oggi acquisiscono diritti esclusivamente come individui; non hanno invece diritti in quanto
“minoranza”.

Diritto ad un alloggio adeguato
La politica amministrativa dei “campi nomadi” ha alimentato negli anni il disagio abitativo, fino a diventare causa della marginalità spaziale e dell’esclusione sociale per le comunità rom e sinte. Sorte in un’ottica emergenziale e con l’obiettivo di accogliere temporaneamente persone in transito, le strutture abitative presenti nei “campi” non sono in grado di rispondere alle esigenze difamiglie che hanno sempre vissuto in modo stanziale e divengono facilmente luoghi di degrado, violenza e soprusi. Le politiche promosse dalla giunta capitolina sono diventate negli anni un riferimento per molte città italiane. A Roma, negli anni, sono stati costruiti 8 “villaggi attrezzati”. Si tratta di aree isolate, poste in prossimità di inceneritori o discariche, mal collegate con i mezzi pubblici, recintate e videosorvegliate dove, su base etnica, vengono collocate persone appartenenti alle comunità rom
e sinte. Recenti studi hanno dimostrato come in tali aree si siano registrati tra i minori sintomi riconducibili alle “patologie da ghetto” (dermatiti, stati depressivi, iperattività, coliti…). Le politiche promosse negli ultimi anni nella città di Milano prima e di Roma poi si sono contraddistinte per il massiccio impiego di azioni di sgombero forzato, non conformi ai parametri fissati da vari strumenti internazionali. Nella sola città di Roma, nel periodo del Piano Nomadi (dal 31 luglio 2009 ad oggi), sono state 516 le azioni di sgombero forzato, che hanno riguardato le comunità rom e sinte. Si avverte pertanto in Italia l’urgenza di avviare politiche locali e nazionali verso il superamento dei “campi nomadi”, partendo dalla consapevolezza dell’illegalità degli sgomberi forzati e dalla necessità di avviare una nuova fase, segnata dal rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone rom.

Diritto all’istruzione
Negli ultimi 5 anni sono stati circa 12.000 i minori rom iscritti in Italia nei diversi ordini e gradi di scuola. Nel 2011 gli alunni rom e sinti che hanno frequentato la scuola superiore sono stati solo 158, un valore che risulta persino più basso rispetto al dato di quattro anni prima. Dall’esame dei dati disponibili si ricava che, ad oggi, la probabilità che un bambino rom arrivi al secondo livello
della scuola secondaria è di circa 1 su mille. Si tratta di un valore estremamente modesto che rivela lo scarso impatto delle politiche di inclusione delle comunità rom e sinte in campo educativo. In ambito scolastico, nonostante i tentativi normativi e pratici di coinvolgimento degli studenti rom e sinti adottati in questi anni, ancora permangono bassi livelli di istruzione, alti livelli di dispersione scolastica e ostilità del territorio di riferimento della scuola nei confronti dell’inserimento di bambini rom nel gruppo classe. Si registrano inoltre maggiori casi di insuccesso scolastico rispetto al passato. Tale andamento conferma l’urgenza di rafforzare interventi che promuovano l’accesso alla scuola e l’inclusione attraverso la concessione di borse di studio ad alunni rom e
sinti meritevoli, interventi di coinvolgimento dei genitori e delle famiglie rom e sinte e delle famiglie del territorio, interventi di sensibilizzazione finalizzati al contrasto dell’anti-gitanismo.

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