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Consulta: “Quesito della Cgil su art. 18 inammissbile perché aveva carattere propositivo”

È quanto si legge nelle motivazioni depositate oggi dalla Corte Costituzionale, che lo scorso 11 gennaio si era pronunciata sui tre quesiti riguardanti la riforma del lavoro. Due di questi – quello sugli appalti e quello sui voucher – erano stati ritenuti ammissibili, mentre il terzo, sui licenziamenti illegittimi, non aveva passato l’esame della Consulta.
A cura di Claudia Torrisi
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Manifestazione nazionale Cgil a Roma

Il quesito sui licenziamenti illegittimi proposto dalla Cgil che puntava al ripristino delle tutele dell'articolo 18 è stato bocciato dalla Corte Costituzionale per il suo "carattere propositivo, che lo rende estraneo alla funzione meramente abrogativa assegnata all'istituto di democrazia diretta" del referendum. È quanto si legge nelle motivazioni depositate oggi dalla Consulta, che lo scorso 11 gennaio si era pronunciata sui tre quesiti riguardanti la riforma del lavoro presentati dalla Cgil. Due di questi – quello sugli appalti e quello sui voucher – erano stati ritenuti ammissibili, mentre il terzo, sui licenziamenti illegittimi, non aveva passato l'esame della Consulta.

Secondo i giudici, il quesito presentato dalla Cgil "manipola il testo vigente dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 attraverso la tecnica del ritaglio, ovvero chiedendo l'abrogazione, quanto ai commi primo, quarto, sesto, settimo e ottavo, di frammenti lessicali, così da ottenere, per effetto della saldatura dei brani linguistici che permangono, un insieme di precetti normativi aventi altro contenuto rispetto a quello originario". Una manipolazione che nel caso specifico riguarda la "la struttura linguistica della disposizione" e ha per effetto quello di dare vita a "un assetto normativo sostanzialmente nuovo". Ne discende che "tale assetto, trovando un mero pretesto nel modo con cui certe norme sono state formulate sul piano lessicale, sarebbe da imputare direttamente alla volontà propositiva di creare diritto, manifestata dal corpo elettorale. In questo caso si realizzerebbe uno stravolgimento della natura e della funzione propria del referendum abrogativo", si legge nelle motivazioni.

Altro, secondo i giudici, "sarebbe stato se il quesito referendario avesse chiesto la integrale abrogazione del limite occupazionale, perché in questo caso si sarebbe mirato al superamento della scelta stessa del legislatore di subordinare la tutela reale ad un bilanciamento con valori altri".

Ad ogni modo, il quesito è inammissibile anche per un'altra ragione: "a causa del difetto di univocità e di omogeneità". Una motivazione che la Corte fa risiedere nel fatto che l'elettore non debba esser messo nella condizione di "esprimere un voto bloccato su una pluralità di atti e di disposizioni diverse, con conseguente compressione della propria libertà di scelta". La Consulta punta il dito contro l'aver messo nel quesito sia la parte di Jobs act che regola i licenziamenti illegittimi, sia lo Statuto dei lavoratori, "due corpi normativi, oggetto dell'unico quesito referendario" che "anche se riguardano entrambi i licenziamenti individuali illegittimi, sono all'evidenza differenti, sia per i rapporti di lavoro ai quali si riferiscono, sia per il regime sanzionatorio previsto". Per questo motivo, "le richieste abrogative che li riguardano" sono disomogenee e "suscettibili di risposte diverse". Sostanzialmente, per la Corte Costituzionale l'elettore avrebbe potuto voler abolire le innovazioni delle tutele crescenti, ma non agire sull'articolo 18 dello Statuto. Il referendum non è il luogo giusto per stabilire sia "in quali ipotesi di licenziamento illegittimo e attraverso quali meccanismi può essere in linea astratta tutelato il lavoratore" che "a quale realtà, imprenditoriale o non imprenditoriale, essi vadano riservati". È il legislatore che può farsi carico di questi temi.

L'elettore, spiega la Corte, "potrebbe desiderare che la reintegrazione torni a essere invocabile quale regola generale a fronte di un licenziamento illegittimo, ma resti confinata ai soli datori di lavoro che occupano più di quindici dipendenti in ciascuna unità produttiva o Comune, o ne impiegano complessivamente più di sessanta. Oppure potrebbe volere che quest'ultimo limite sia ridotto, ma che, anche per tale ragione, resti invece limitato l'impiego della tutela reale, da mantenere nei casi in cui è attualmente prevista".

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