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Valentina Ok, simbolo della diversità napoletana

La cantante transessuale è stata l’espressione artistica dell’universo sociale napoletano che attribuisce alla figura del femminiello qualità di portafortuna popolare. In realtà, la diversità di Valentina è sempre stata in sintonia con la cultura dell’accoglienza della città, oggi mortificata dall’onda montante del razzismo.
A cura di Marcello Ravveduto
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Il boom dei neomelodici, inteso quale simbolo di una riemergente cultura partenopea, è esploso alla metà degli anni Novanta invadendo i canali della TV nazionale: un servizio di “Format” su Raitre, quattro puntate di “Napoli che passione”, fortemente volute da Carlo Freccero, su Raidue, due puntate del “Maurizio Costanzo Show”, un’ospitata nella strip notturna di Marzullo e poi ancora sulla Rai due puntante di “SuperGiovani” sulla creatività napoletana. Persino Antonio Bassolino è costretto ad interessarsene visto che il genere è presentato come la colonna sonora del “rinascimento napoletano”. Così, nel 1997, il comune apre le porte del teatro Mercadante ai Melogrammy, l’Oscar dei cantanti neomelodici organizzato da Gianni Simioli.

In quell’anno la sezione voci emergenti è conquistata da Luciano Caldore e Maria Nazionale. Il premio “migliore autore” lo ricevono Enzo Caradonna, per “Pazzo d’amore”, e Toto Fabiani, per “‘A Libertà”, cavallo di battaglia di Stefania Lay. Il riconoscimento per il miglior concerto e il miglior film neomelodico, “Annarè”, va alla superstar Gigi D’Alessio. Nello Pennino è gratificato come migliore regista di videoclip. Il Melogrammy vero e proprio se lo aggiudicano Ida Rendano e Ciro Ricci (oggi Ciro Rigione). Franco Ricciardi è premiato per il disco dell’anno “Cuore Nero”. Il titolo di personaggio dell’anno, infine, è attribuito alla cantante transessuale Valentina, divenuta famosa grazie al tormentone sgrammaticato: «ok, l’appuntamento vale per le sei/ sarei una pazza se non ci verrei!».

Alta, lunghi capelli biondi, sguardo ammaliante si è fatta strada nel mondo della musica neomelodica raccontando in falsetto il mondo dei trans tra passioni e delusioni. Così la descrive un fotografo napoletano che ha curato il suo book promozionale: «Nella mia piccola sala di posa in un cortile a piano terra di un palazzo al centro di Napoli non c’è un gran via vai… Nessuno nel quartiere è attento alle persone che mi girano intorno… Con Valentina, invece, tutto il vicinato è entrato in fibrillazione… Claudio, il barista ha bussato con vigore e mi ha portato due caffè in omaggio… Luigi, un mio amico… non viene mai… guarda caso oggi, che sapeva dell’incontro, passa da me per caso. Valentina, indifferente e abituata a suscitare tanta curiosità, quasi non ci fa caso a tanta discreta isteria».

Valentina, al secolo Ciro Adorato, era l’emblema neomelodico di un sentire mediterraneo in cui è possibile esprimere liberamente la propria sessualità. Era un simbolo di una tollerante cultura popolare: il “femminiello” è una delle tante figure dell’universo sociale napoletano; addirittura la plebe gli attribuiva qualità positive come portafortuna della comunità del vicolo. Capite bene che valore potesse avere un simile personaggio nella città più scaramantica d’Italia. Il femminiello può essere canzonato e ironicamente sbeffeggiato ma non ha mai suscitato alcun rigetto, nessun sarcasmo o, peggio ancora, una violenza mirata. Insomma, appartiene alla sacralità della mitologia urbana e, come tale, non può suscitare apprezzamenti di vero dileggio e comportamenti aggressivi. Anche perché intorno alla sua effige si perpetuano riti antichissimi quale la cosiddetta “figliata d’e femminielli”: una cerimonia derivante dall’antico culto della fecondità.

La figliata si svolge segretamente alle pendici del Vesuvio, a Torre del Greco, ed è stata descritta accuratamente da Malaparte nel suo libro “La pelle” e dalla regista Cavani nell’omonimo film. È una originale iniziazione che simboleggia la nascita del “maschio-femmina”, chiamata dagli iniziati “Rebis”, res + bis, cosa doppia. Insomma un ermafrodito che i greci consideravano essere superiore perché figlio della bellezza (Afrodite) e della forza (Ermes). A questi riti antichi e dimenticati si ricollega la credenza che il femminiello sia portatore di «una carica di magico, stando al limite del diverso, in condizione simbolica di ermafroditismo». Dietro la speciale aurea di ammirazione suscitata da Valentina si nasconde, quindi, un complesso meccanismo antropologico che deriva dalla peculiare organizzazione sociale del “cosmo” napoletano. La diversità della città si esprime attraverso questa figura che accoglie i più deboli, incapaci di autodeterminare la propria identità. Tutti hanno un posto anche quando sono costretti a nascondersi nei meandri di oscuri fondaci.

L’abbraccio di Valentina ai suoi fans e il loro morboso affetto è il concretizzarsi di una secolare storia urbana in cui la promiscuità è stata sempre un arricchimento collettivo. Non esiste scandalo morale ma solo comprensione e reciprocità. Anzi, a ben vedere, è proprio dalla degenerazione e dalla strumentalizzazione di questi due sentimenti che trae origine la camorra. E allora, una canzone come ‘Na storia diversa, che in apparenza sembra la solita spazzatura neomelodica, diventa, grazie all’interpretazione di Valentina, un richiamo all’accoglienza, ancora più stridente se pensiamo al razzismo palese e strisciante che sta divorando il cuore della metropoli.

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