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Una mostra a Londra che ci racconta un altro Afghanistan

La storia a lieto fine del favoloso “tesoro della bactriana” perduto e ritrovato, in mostra in questi mesi al British Museum: la bellezza da conoscere di un paese martoriato.
A cura di Nadia Vitali
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Dell'Afghanistan, purtroppo, la nostra parte di mondo conosce solo disgrazie e miserie; per quasi tutti, questo paese è diventato famoso solo quando, dieci anni fa ormai, l'allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush si decise a bombardarlo in seguito all'attacco alle Torri Gemelle. Da allora, per la maggior parte degli occidentali "Afghanistan" ha significato solo poche cose: rifugi possibili per Osama Bin Laden tra chissà quali inimmaginabili montagne, una democrazia che stenta a nascere, militari che muoiono da anni, in uno stillicidio di cui nessuno riesce ad afferrare il reale significato.

Ma quella terra che funge da raccordo tra medio ed estremo oriente, confinante da una parte con l'Iran, dall' altra con la Cina, così contesa ed amara, aveva anche delle sorprese in serbo: delle sorprese meravigliose, che purtroppo sono state anch'esse vittime della follia della barbarie e della stupidità, come è accaduto ai Buddha di Bamiyan o che, miracolosamente, solo grazie a delle fortunate coincidenze, sono riuscite a salvarsi: come il tesoro della bactriana, di cui una parte consistente, da marzo e fino a metà luglio, sarà in mostra al British Museum di Londra, assieme ad altri preziosi reperti del paese.

Un tesoro che comparve dinanzi agli occhi di esterrefatti archeologi sovietici, sotto la guida del russo-greco Victor Sariyannidis,  nell'inverno tra il 1978 e il 1979: poco prima che l'Unione Sovietica invadesse il paese, trascinandolo in una infinita guerra civile che si sarebbe lasciata alle spalle morte e disperazione che ancora oggi perdurano e continueranno chissà fino a quando. Negli ultimi mesi di relativa pace che l'Afghanistan viveva nel 1979, prima che il Presidente Taraki, che aveva cercato di imporre delle riforme laiche e progressiste alla società, venisse assassinato, una collina fece questo immenso dono all'umanità.

Il nome del sito era già di per sé evocativo: Tyllia Tepe tradotto letteralmente significa "collina d'oro". Quando le tombe che si trovavano all'interno del poggio vennero aperte, i fortunati che assistettero a tanto spettacolo, molto probabilmente, non dovettero credere ai propri occhi: i corpi di cinque donne e di un uomo giacevano, inviolati da circa 2000 anni, avvolti in dei sudari completamenti intessuti di oro, con parure tempestate di turchesi e lapislazzuli. Terra di confine ed importante snodo commerciale, 2000 anni fa l'Afghanistan si trovò a sviluppare un'arte orafa raffinatissima ed ineguagliabile, frutto delle differenti influenze che avevano luogo sui nomadi di quelle latitudini: in quei sepolcri è possibile vedere tanto la cultura greca (uno dei cadaveri ha una moneta d'oro in bocca, usanza per lo più mediterranea, il cui fine era assicurare al defunto di essere traghettato da Caronte attraverso lo Stige, dietro il pagamento, appunto, dell'obolo) quanto quella uralo- altaica.

Il sito, posto nell'Afghanistan settentrionale e vicino alla città di Sheberghan, faceva parte della regione denominata Bactria o Bactriana: quella in cui, seppur brevemente, i Greci dopo la morte di Alessandro il Macedone, sarebbero venuti a contatto con l'India e con la fredda Europa delle steppe. Nel I secolo d. C. lì si estendeva l'impero Kusana e i sei cadaveri, che ricordano la storia di Re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava, appartengono, senz'altro, a sei personaggi Kushan di altissimo rango.

Fotografati ed inventariati, gli oltre 21000 pezzi d'oro che componevano il tesoro, vennero trasferiti nello stesso anno al museo di Kabul; l'ultima volta che furono visti lì fu nel 1989, quando l'allora presidente Muhammad Najibullah lo mostrò ad alcuni diplomatici stranieri, come prova del fatto che i Russi, che in quell'anno si ritirarono dal paese, non lo avessero rubato e portato con sé. Dopodiché scomparve mentre l'Afghanistan si avviò verso il collasso definitivo, con la proclamazione della repubblica islamica nel 1992 e la guerra civile.

Quando il fronte del Talebani prese definitivamente il potere nel 1996 il presidente Nabjibullah, l'ultimo della repubblica democratica, venne preso nel palazzo delle Nazioni Unite dove aveva cercato rifugio, torturato, mutilato, trascinato con una jeep e, infine, giustiziato: il segreto di dove fosse finito il tesoro finì nella tomba insieme a lui. Nel corso degli anni, le accurate ricerche dei Talebani e dei trafficanti, non servirono a ritrovare questa meraviglia, al punto che, i più pessimisti, erano convinti che l'oro fosse già partito per chissà quale destinazione e, magari, fosse anche stato riutilizzato. Lo sconforto degli archeologi che avevano lavorato alla missione era massimo.

Poi, a sorpresa, nell'agosto del 2003 il quasi miracoloso ritrovamento: il tesoro non era mai andato via da Kabul, solo che era stato spostato nella camera blindata della Banca Centrale dell'Afghanistan, dove aveva potuto riposare indisturbato per altri 14 anni mentre, sfortunatamente, gran parte delle ricchezze del museo di Kabul erano state saccheggiate nel corso della guerra civile che, dal 1992 al 1996, contrappose i Talebani ai Mujaheddin. Il Presidente Hamid Karzai diede l'annuncio del ritrovamento e specificò che i Talebani avevano cercato in tutti i modi di impadronirsi dell'oro ma si erano trovati davanti la fiera resistenza degli uomini dello staff della banca che avevano bloccato i codici di accesso, venendo per questo picchiati a sangue.

Il tesoro tornò, finalmente, ad essere dell'Afghanistan e, da quel momento, è già stato esposto a Parigi e, ora, a Londra. Un patrimonio dal valore inestimabile che, per un paese così impoverito, può costituire ancora una piccola risorsa a cui fare appello: perché di quel piccolo lembo di terra non si ricordi solo la disperazione e la miseria, ma anche lo splendore che, purtroppo troppo raramente, l'umanità è riuscita a conferirgli.

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