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Trattativa Stato-mafia, Mancino chiese al Quirinale di intervenire sulle indagini

Dalle intercettazioni della procura di Palermo emerge che l’ex Ministro degli interni cercò più volte di influire nelle indagini sulle trattative stato mafia, attraverso pressioni sul Quirinale e sul procuratore nazionale antimafia Grasso.
A cura di Antonio Palma
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Trattativa Stato-mafia, Mancino chiese al Quirinale di intervenire sulle indagini

I giudici in questione smentiscono ogni sorta di interferenza pratica nel loro lavoro, ma non negano affatto che interventi dell'ex Ministro Nicola Mancino e del Quirinale nelle inchieste sulle trattative Stato Mafia condotte dalle procure siciliane, ci sono state a più riprese nel corso del tempo e nei confronti di diversi  soggetti della magistratura. Al centro di quella che pare essere una fitta rete di intrecci amicali e di potere vi è proprio l'ex vice presidente del consiglio superiore della magistratura, Mancino, che ascoltato come testimone dai pm sulla trattativa stato mafia ai tempi delle stragi mafiose degli anni '90, si sentiva perseguitato e nel mirino. Iniziano così i numerosi interventi su amici, colleghi e giudici, tutti ai massimi vertici istituzionali del Paese, per interferire in qualche modo nelle indagini delle procure di Palermo e Caltanissetta.

Le telefonate con il braccio destro di Napolitano – Mancino, che ora è indagato per falsa testimonianza proprio per le reticenze nelle inchieste dei Pm, era infatti sotto controllo da parte dei giudici per capire se in occasione degli interrogatori concordasse con altri gli accadimenti da riferire. Ascoltando le intercettazioni i Pm sono venuti a conoscenza delle numerose telefonata che l'ex Ministro degli interni effettuò per richiamare l'attenzione sul suo caso e trovare una sorta di appoggio dai massimi vertici istituzionali, compreso il Quirinale. Delle telefonate di Mancino, infatti, acquistano particolare rilevanza proprio quelle con il consigliere giuridico di Giorgio Napolitano, nonché suo braccio destro, Loris D’Ambrosio, sfociate poi in una missiva del Quirinale al procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani.

L'intervento su Grasso e il rifiuto del procuratore antimafia – D’Ambrosio, chiamato più volte da Mancino, lo tranquillizza e promette di interessare del caso anche il Presidente della Repubblica, anche se oggi afferma di aver risposto solo per rassicurarlo senza reali interventi. Resta quella lettera inviata al Pg Ciani che effettivamente  ad aprile convoca il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso per chiedere chiarimenti sul coordinamento tra le procure, come aveva auspicato lo stesso Mancino al telefono con D'ambrosio e direttamente al procuratore Grasso in un'occasione pubblica. Il rifiuto categorico dello stesso Grasso di intervenire sui suoi colleghi, messo per iscritto nella risposta al Pg della Suprema Corte, stoppa un altro dei canali provati da Mancino.

Numerosi tentativi andati a vuoto – I tentativi di Mancino, infatti, come ci raccontano le intercettazioni sono i più disparati, oltre al Quirinale dove piovono lettere e telefonate, l'ex Ministro contatta ad esempio il precedente Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, amico fidato poi andato in pensione, e il  procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi. Tentativi per lo più andati a vuoto visto che oltre alla convocazione di Grasso da parte di Ciani e ad una probabile riunione di coordinamento tra le tre procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze (di cui sembrano non sapere niente i diretti interessati ), Mancino non riesce nel suo tentativo e viene indagato dai giudici palermitani. Resta il tentativo che, come dice Ingroia che coordina l'inchiesta di Palermo, è "una cattiva abitudine molto diffusa" cioè "quella di cercare scorciatoie per affermare la propria innocenza".

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