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Opinioni

La guerra in Ucraina sconvolge tutti, tranne la Fashion Week: la moda si indigna solo sui social

La notizia dell’invasione russa in Ucraina è arrivata nel bel mezzo delle sfilate, proprio mentre la moda cercava di dimenticare la pandemia: perché nessuno stilista ha dedicato una parola alla crisi?
A cura di Beatrice Manca
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Tra Milano e Kiev ci sono 2mila km di distanza. Ma sembrano due galassie diverse. Qui la Fashion Week anima la città con il suo carosello di sfilate, star internazionali, feste e cene. Lì le persone cercano riparo dalle bombe, mettono i figli su un pullman cercando di metterli al sicuro, cercano disperatamente di fuggire. È la guerra. La notizia dell'invasione russa in Ucraina è arrivata nel pieno delle sfilate, mentre Milano festeggiava la ripartenza dopo la pandemia. Da quel momento, tutto è diventato surreale per chi, come me, alle sfilate ci lavora. Ma evidentemente non per il mondo della moda che, al netto di qualche post di commozione su Instagram, ha scelto di non fermarsi, neanche per un minuto di silenzio.

Questa Settimana della Moda si è aperta sotto i migliori auspici: a Milano è arrivata la primavera in anticipo e girando tra i vari show il Covid sembrava solo un ricordo lontano. Nell'aria si respirava la voglia di voltare pagina e di tornare a godersi la bellezza, il divertimento, la vita. Siamo andati a letto mercoledì carichi di ottimismo e ci siamo svegliati giovedì con la notizia dell'invasione russa. Se ne parlava da giorni, ma tutti ce ne siamo resi conto quando era già realtà, quando la guerra era in corso e le sirene suonavano nelle strade di Kiev. Da questa parte del mondo, quella fortunata, in molti avranno sentito un senso di paura, impotenza, angoscia. Ma per me, sedermi a guardare le sfilate come se nulla fosse successo, era surreale. In letteratura si chiama straniamento: guardavo l'euforia collettiva, i sorrisi agli show, la grande bellezza degli abiti e mi sembrava tutto fuori posto, fuori luogo. Le contraddizioni del nostro tempo sono riassunte nel mio feed di Instagram: foto di sfilata, foto di una donna che piange in Ucraina, altra foto di sfilata. Le storie di Instagram in sequenza mi mostrano: modelle, bambini che piangono tra le macerie, un party della Fashion Week, una coppia che si separa a Kiev, un altro party della Fashion Week. E non lo dico per giudicare: anche io mi sono chiesta se fosse peggio non postare nulla, o postare solo per sentirmi a posto con la coscienza.

Una ragazza con i colori dell'Ucraina sul volto fuori dalla sfilata di Prada
Una ragazza con i colori dell'Ucraina sul volto fuori dalla sfilata di Prada

La Fashion Week prosegue spedita, senza grandi strappi. Le eccezioni ci sono, ma piccole e sporadiche: un gruppo di influencer ha esposto la bandiera Ucraina fuori dallo show di Prada in segno di solidarietà. Alla vigilia dello show di Gucci, Alessandro Michele ha pubblicato su Instagram un post contro la guerra, con la traduzione in inglese della famosa poesia di Gianni Rodari: "Ci sono cose da non fare mai, né di giorno, né di notte, né per mare, né per terra: per esempio, la guerra". Chiara Ferragni ha condiviso alcune notizie dell'invasione nel suo feed Instagram con il cuore spezzato, tra una sfilata e l'altra. Ma sono gesti che appartengono al privato. Non so esattamente cosa mi aspettassi di vedere da parte degli stilisti: un minuto di silenzio? Un comunicato stampa? Un gesto simbolico, una parola alla fine degli show? Non lo so, ma sicuramente non mi aspettavo questo silenzio: all'alba di venerdì mattina nessun designer ha mandato un messaggio sull'Ucraina durante gli show.

influencer protestano fuori dalla sfilata di Prada
influencer protestano fuori dalla sfilata di Prada

Certo, è ipocrita da parte mia dire cosa avremmo dovuto fare: guerre e genocidi ci sono sempre stati, in qualche angolo del pianeta di cui facciamo fatica a ricordare i nomi, e non ci siamo mai fermati. Ora che affollano le prime pagine dei giornali, avremmo dovuto fare qualcosa di diverso? Fermarsi non è la soluzione: la moda è tra le nostre voci del Pil più robuste, c'è in ballo il lavoro di migliaia di persone, migliaia di famiglie. I gesti simbolici – come illuminare il Colosseo di giallo e blu – forse sono inutili, forse perfino ipocriti. Ma prendere posizione non lo é mai, e anzi è necessario. Io non ho la risposta, ma non posso fare a meno di farmi la domanda: perché fino ad ora nessuno ha voluto dedicare un minuto all'Ucraina? I gesti simbolici forse non risolvono nulla, ma parlano forte, specialmente sotto i riflettori di Milano. Perché girarci dall'altra parte e pensare che questa guerra non ci riguardi non solo è crudele: è complice.

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Nata a Roma nel 1992 e cresciuta a pane e libri a Viterbo, sono giornalista professionista dal 2019. In tasca una laurea in Editoria e un master in giornalismo alla Scuola Rai di Perugia. Lavoro a Fanpage nella sezione Stile e Trend. Mi occupo di questioni di genere e di moda, con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale. Prima al Fattoquotidiano.it e Fq Millennium.
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