video suggerito
video suggerito

Bikini blues: perché ci assale l’ansia al pensiero di mettere il costume, ma non dovrebbe

Andare in spiaggia non è più un momento di relax e divertimento, ma un esame da superare: si parla ovunque di “prova costume”. E l’ansia è inevitabile.
A cura di Giusy Dente
25 CONDIVISIONI
Immagine

Settimane prima che cominci l'estate, comincia il bombardamento pubblicitario. Spot per i bikini, perché devi essere alla moda e comprare l'ultimo modello di tendenza; spot per le creme abbronzanti, perché l'effetto "mozzarellina" non piace a nessuno; spot per ogni tipo di depilazione possibile e immaginabile, indispensabile per arrivare in spiaggia liscia e con nemmeno un pelo fuoriposto. E ogni singola pubblicità parla di "prova costume". Non stupisce che si arrivi a provare una sorta di ansia da prestazione.

Che cos'è la "malinconia da bikini"

Si chiama bikini blues ("malinconia da bikini"): è l'ansia che si prova al solo pensiero di mettersi in costume d'estate. È un insieme di sensazioni negative, una paura che riguarda uomini e donne: coinvolge un italiano su due, secondo uno studio condotto da MioDottore, il 45% circa della popolazione. Insomma, non abbiamo affatto un buon rapporto col costume: ci terrorizza l'idea di indossarlo e quando lo indossiamo davvero non riusciamo a scrollarci di dosso quella spiacevole sensazione di vergogna mista a senso di colpa. L'idea di scoprirsi spaventa e getta in uno stato d'animo di frustrazione, angoscia, apprensione.

Quello che dovrebbe essere un momento spensierato di relax e divertimento si trasforma in un incubo: c'è chi rinuncia alla giornata al mare o in piscina proprio per evitare di vedersi e farsi vedere in costume. Questa sensazione di bikini blues ha a che fare col continuo e pressante giudizio che c'è sui corpi oggi: nelle nostre menti si è consolidata un'idea di perfezione che regna sovrana e chi non è conforme a quello stereotipo si sente sbagliato, additato, deriso.

La paura del bikini, infatti, è in realtà la paura del giudizio altrui: della battutina da parte del vicino di ombrellone, del sorriso divertito di un passante, di chi scriverà un commento cattivo se posterai una foto, diventando oggetto di bosy shaming. Tutto si riconduce a quella idea di perfezione: se non si aderisce a quell'immagine subentra l'insicurezza e ci si sente più esposti allo sguardo giudicante altrui, che immediatamente è pronto a evidenziare ogni mancanza e a farla pesare.

Il confronto con lo stereotipo ci ha resi deboli e fondamentalmente, perdenti in partenza: perché paragonarsi a un ideale di perfezione il più delle volte fittizio, inesistente e irraggiungibile, non può che rivelarsi una missione fallimentare a prescindere. Eppure questi standard hanno preso a tal punto piede, da essere diventati preponderanti nell'immaginario collettivo, un metro di giudizio consolidato. C'è un enorme investimento sul corpo, a cui viene data assoluta centralità.

La pancia non è abbastanza piatta, gli addominali sono poco scolpiti, qui c'è la cellulite, qui ci sono le braccia poco toniche: i difetti prendono il sopravvento e diventano l'unico focus su cui concentrarsi, piuttosto che godersi il momento. Ecco perché anche condividere una foto diventa un'impresa: il filtro, il ritocco, la posa perfetta, la luce giusta. Tutto è studiato a svantaggio della spontaneità, dell'autenticità, solo in nome dell'apparenza e dell'immagine: per un pugno di like.

Siamo ingiustamente schiavi della "prova costume"

Se andare in spiaggia è un esame da superare, è ovvio sentirsi schiacciati dall'ansia al solo pensiero: al pari dell'esame per la patente, della Maturità, della discussione dinanzi alla commissione di Laurea. Leggere e sentire ovunque l'espressione "prova costume" non aiuta: è la prima idea da smontare, perché in effetti non c'è alcuna prova da superare per essere ammessi in spiaggia. Certe sovrastrutture rischiano di incidere pesantemente sull'umore, sull'autostima, sulla quotidianità spessa: ci si priva di qualcosa di bello per colpa delle insicurezze, per timore del giudizio altrui.

"Tutti i corpi sono corpi da spiaggia" recitava una campagna pubblicitaria di qualche anno fa. Era un invito a rifiutare gli stereotipi di perfezione, a non cedere alla violenza estetica e alla costante pressione sociale che ci vorrebbe tutti uguali, tutti in un certo modo. La campagna voleva invece porre l'accento sull'importanza di godersi l'estate in spensieratezza, senza sensi di colpa né vergogna, senza bikini blues e senza tormentarci, perché non ce lo meritiamo: dovremmo anzi guardare al nostro corpo con un po' più di amore. Comincia tutto da lì.

25 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views