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Padovano e la sua seconda vita: “Vialli mi diceva ‘non mollare’, ora sollevo la coppa della dignità”

Il monologo di Michele Padovano alla trasmissione tv Le Iene dopo l’assoluzione dalle accuse per presunto finanziamento ad un traffico di droga: parole cariche di emozione per l’ex calciatore, che ora inizia la sua ‘seconda vita’.
A cura di Vito Lamorte
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Michele Padovano ora può iniziare la sua seconda vita. L'ex attaccante di Juventus, Napoli e Genoa è stato assolto 17 anni dopo essere stato arrestato con l’accusa di far parte di un’organizzazione che trafficava droga. Una vicenda incredibile, arrivata con la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Torino dopo il secondo processo d'appello celebrato in seguito alla decisione della Cassazione di annullare la condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione.

L'ex calciatore era stato coinvolto erroneamente in una vicenda che riguardava un traffico di droga dalla Spagna all’Italia gestito dall’amico d’infanzia Luca Mosole, condannato a 6 anni e 8 mesi: tutta la storia ruotava intorno ad un prestito di 35 mila euro in contanti che Padovano fece all’amico ma quei soldi servivano per un cavallo e non per la droga.

Tutto iniziò in un giorno di maggio del 2006, quando la Procura di Torino decise il suo arresto nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di hashish: da quel momento nulla fu come prima.

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Padovano ha parlato della sua esperienza in un monologo a Le Iene, trasmissione televisiva che va in onda su Italia 1, e ha provato a riassumere così questi ultimi anni: "Faccio fatica a trovare le parole per dirvi cosa sono stati questi 17 anni. Le manette ai polsi dopo una pizza con gli amici, senza aver fatto nulla di male. Il freddo della cella, dove la sveglia sono i manganelli che alle 6 sbattono sulle sbarre. Gli arresti domiciliari, gli amici che spariscono".

L'ex calciatore ha fatto una similitudine tra i processi e le sentenze con le partite e gli infortuni: "Ogni processo è stata una partita. Ti riscaldi, entri in campo carico, sai di avere le gambe buone, la testa è a posto, la concentrazione è quella giusta, sei sicuro che giocherai alla grande e tutto andrà bene. Ma in campo ti rompi con un infortunio terribile. Poi ci sono mesi di sofferenza, le cure. L'attesa di tornare in campo. Per fortuna c'è la partita di ritorno. Di nuovo sei carico, pronto a spaccare il mondo ma anche stavolta ti rompi. Esci dal campo in barella. Queste sono state per me le mie due condanne, eppure dentro di me sentivo di avere la forza di farcela. Anche Gianluca Vialli, il mio leader, mi diceva ‘Non mollare un ca**o', e così mi sono rimesso in piedi per la finale. Questa se la perdi non puoi rigiocarla".

Infine l'assoluzione al termine di un percorso lungo e faticoso: "Le gambe sono buone, la difesa regge e l'attacco gira. Schivo ogni tackle, stavolta non voglio saperne di farmi male. Arrivo al gol, che per me è l'assoluzione. Così oggi finalmente posso sollevare la coppa più importante, la più ambita, quella della dignità".

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In un'intervista al quotidiano La Repubblica poco dopo l'assoluzione definitiva si era espresso con parole molto sentite: "In questi 17 anni c'è dentro tanta vita, troppa. Quasi tutta. E non torna indietro. Chi me la rende? Ogni mattina mi svegliavo con l'ossessione, e poi restava sempre con me: fine pena mai. È un miracolo se non impazzisci o non ti ammali di brutto. Sono sopravvissuto con una moglie come Adriana, un figlio come Denis e due avvocati come Michele Galasso e Giacomo Francini: sono stati loro a salvarmi la vita".

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