
Un progetto tecnico definito e una società strutturata per reggere agli ‘urti della vita'. Lo sfogo di Gattuso dopo la vittoria contro il Parma racchiude in sé un difetto atavico del Napoli: essere sempre sul punto di diventare grande ma fermarsi a un passo dal traguardo per paura di vincere e di crescere che è altro rispetto alla forza economica. Mettiamo da parte un attimo il folklore della parole, l'orgoglio legittimo del tecnico che difende il proprio lavoro, l'impulsività e la rabbia genuina di ‘ringhio' che fa a cazzotti con i tempi della diplomazia, le indiscrezioni sul futuro dell'allenatore che fanno parte del gioco, il ruolo invertito in cui s'è trovato perché un paio di anni fa dall'altro capo del filo c'era lui a parlare con De Laurentiis che ragionava del dopo Ancelotti.
La centralità della questione è nelle parole del direttore sportivo, Giuntoli, prima della gara con gli emiliani. Quando gli chiedono per l'ennesima volta qual è la situazione in casa azzurra risponde pronunciando la fatidica formuletta: "Il rapporto di Gattuso con la società è ottimo da quando è arrivato. C'è sempre uno scambio di opinioni in maniera serena e corretta". Un paio di ore dopo il tecnico avrebbe smentito quella narrazione in diretta TV definendosi deluso dal modo in cui era stata gestita la vicenda e più ancora dall'atteggiamento del presidente.
Lo stato d'animo di Gattuso è comprensibile (lo aveva manifestato anche dopo la Coppa Italia con lo Spezia), un po' meno il fatto che un campione del mondo, con il suo ‘diavolo' e con la Nazionale, si lasci turbare dal chiacchiericcio del pidocchio, dalla vulgata di chi (parte dei media compresi) sputa opinioni come fosse al bar dello sport. E perda anche del tempo a replicare. Stucchevole e grottesco quel che resta sulla scena: l'immagine di una società nella quale può accadere di tutto, anche episodi imbarazzanti come quelli andati in onda in un pomeriggio. Sarebbe successa la stessa cosa alla Juve, al Milan o all'Inter che pure s'è confrontata col ‘malpancismo' di Conte?
Non è stata affatto una bella figura per un club che in Italia è arrivato a sfiorare la conquista dello scudetto, ha ricercato appeal internazionale, che può vantare solidità economica e bilanci in buon ordine anche in un periodo durissimo come quello attuale a causa della pandemia, ma ancora non è riuscito a darsi una dimensione interna che sia propria di una grande squadra, con ruoli chiave capaci di tenere la barra a dritta anche in mezzo alla tempesta ed evitare strambate pericolose (l'ammutinamento post Champions di due anni fa). Società (e capacità di fare le scelte giuste), allenatore, squadra: le tre cose messe assieme fanno un progetto vincente dove per ‘vincente' non significa spendere tanto e rischiare il collasso ma almeno non accontentarsi di quell'aurea mediocrità (o comfort zone che dir si voglia) dalla quale il Napoli non sembra avere intenzione di uscire.
