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Il momento in cui tra Eriksen e Conte è cambiato tutto: “Ho capito che c’era un piano”

Christian Eriksen ha faticato non poco a diventare un titolare nell’Inter di Antonio Conte. Dopo un girone d’andata anonimo, la svolta è arrivata nel match contro la Lazio del 14 febbraio scorso, da quando è entrato nei primi 11 senza più uscirne. A scudetto conquistato, ha rivelato cosa non andava in campo nella prima parte di stagione: “Quello che non ho capito all’inizio è che dovevo seguire sempre il sistema di Conte”.
A cura di Valerio Albertini
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Christian Eriksen e Antonio Conte, una coppia il cui rapporto ha attraversato diverse fasi: prima la difficoltà a capirsi, poi la grande fiducia reciproca culminata nella conquista dello scudetto.

Quando pensiamo al girone d'andata del centrocampista danese, infatti, non può che venirci in mente l'immagine del suo volto svuotato nel momento in cui si appresta a entrare in campo, per l'ennesima volta con la possibilità di giocare soltanto una manciata di minuti. Eriksen e Conte hanno impiegato tanto tempo a entrare in sintonia, finché l'ex Tottenham è diventato titolare nel match del 14 febbraio contro la Lazio, per poi non uscire più dalla formazione iniziale.

Perché Eriksen giocava poco nella prima parte del campionato

È stato proprio Eriksen, in un'intervista alla Gazzetta dello Sport, a chiarire i motivi del suo scarso impiego nella prima parte della stagione:

Quello che non ho capito all'inizio è che dovevo seguire sempre il sistema di Conte. Che dovevo eseguire e ricordare tutte le giocate che lui aveva preparato per la squadra. Col mister c'è sempre un piano generale da seguire. Ho dovuto imparare tutto questo, adattarmi a un ritmo diverso.

Nella sua esperienza al Tottenham, il danese si era sempre contraddistinto per essere un giocatore intuitivo, l'uomo che aveva la libertà di uscire dagli schemi per inventare la giocata decisiva. Se sei allenato da Antonio Conte, questo non ti è concesso, anche se ti chiami Christian Eriksen e sei uno dei calciatori più importanti del panorama europeo. L'ex allenatore della Juventus adotta uno schema rigido, in cui ognuno ha un determinato compito prestabilito dal quale non ha la facoltà di allontanarsi. Chi non è in grado o non ha intenzione di entrare in questo meccanismo, molto semplicemente non gioca. È per questo che Conte ha preferito per tanto tempo Vidal o Gagliardini al danese, perché più pronti ad adattarsi alle sue richieste.

L'importanza della comunicazione nel loro rapporto

È stato lo stesso tecnico dell'Inter, proprio dopo la partita contro la Lazio del 14 febbraio, a spiegare chiaramente l'evoluzione di Eriksen, dopo i primi mesi in cui la predisposizione a imparare e l'atteggiamento non erano stati sempre sufficienti:

C'è da fare una grande applauso a Eriksen perché sta iniziando a capire un po' cosa vogliamo da lui e ora parla anche italiano.

La comunicazione è un altro aspetto fondamentale del loro rapporto, come confermato dallo stesso danese:

A gennaio ci siamo parlati (con Conte, ndr) e ho iniziato a giocare di più e a dimostrare che ero capace. Ho parlato con lui anche del periodo in cui entravo solo per qualche minuto e so che prende le decisioni migliori per la squadra in quel momento. Se mi faceva giocare così poco è perché, evidentemente, pensava che gli potessi essere utile in quei minuti. Non c'era niente di personale.

L'importanza di Eriksen nell'Inter di Conte: solo una questione di tempo

Nessuna guerra ideologica di Antonio Conte, dunque, come confermato da entrambi i protagonisti di questa storia. Eriksen non era pronto per giocare nel modo richiesto dal suo allenatore, a causa della mancanza di conoscenza del nostro calcio e della nostra lingua. Quando il danese ha mostrato dei progressi, l'ex ct della Nazionale l'ha inserito immediatamente. Si è trattato solo di una questione di tempo, come ha ribadito più volte il tecnico:

Quando mi chiedevano di Eriksen io dicevo che ci sono giocatori che attecchiscono subito e altri che hanno bisogno di più tempo. Per Christian sicuramente ha inciso l’aver giocato in un campionato diverso e il non sapere la lingua, poi è dovuto entrare dentro una nuova idea di gioco. Ha capito che nel calcio ci sono due fasi, soprattutto in quello italiano.

A Conte va riconosciuta l'onestà con cui ha sempre ammesso chiaramente i motivi delle sue scelte, a Eriksen la volontà e la capacità di imparare qualcosa che gli era sconosciuto. Il risultato è la centralità del danese nello scudetto dell'Inter, cosa impensabile fino a febbraio.

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