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I numeri che raccontano la crisi di Inter e Suning, il progetto che “si è fermato ad agosto”

Il club nerazzurro ha chiuso il mercato di gennaio senza operazioni in entrata e deve fare i conti con la chiusura dei rubinetti cinesi. Il futuro potrebbe essere legato a gruppi di private equity: dopo il nulla di fatto con Bc Partners, si valutano altre piste estere per un’eventuale cessione della società.
A cura di Benedetto Giardina
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La Cina non è più così vicina. Non per l’Inter, almeno, che da tempo fa i conti con la chiusura dei rubinetti cinesi e con la crisi del gruppo Suning. Il 2020 è stato un anno complicato per la società che detiene la maggioranza dell’Inter, capace di investire oltre 700 milioni nel corso della propria partecipazione nel club nerazzurro. La situazione in patria, però, è tale da aprire diversi scenari per la famiglia Zhang, tra la ricerca di possibili nuovi finanziatori e la necessità di focalizzarsi sul proprio core business, facendo passare gli investimenti esteri nel mondo del calcio in secondo piano. Un allarme lanciato anche dall’allenatore Antonio Conte, al termine della semifinale d’andata della Coppa Italia persa per 2-1 contro la Juventus: «C’è una situazione particolare ed è inutile nasconderlo. Siamo partiti con un progetto e quel progetto si è fermato ad agosto».

Il peso dell’economia cinese sul futuro dell’Inter

La pandemia ha avuto i suoi risvolti sull’economia cinese, nonostante i dati indichino una crescita. Di riflesso, dunque, anche lo sport ha dovuto fronteggiare gli effetti del Covid-19 su tutto il comparto finanziario. A seguito dell’emergenza, il governo ha deciso di focalizzarsi principalmente sul mercato interno nel nuovo piano quinquennale. Autarchia parola d’ordine, sfruttando anche i dati che vedono la Repubblica Popolare come l’unica ad aver registrato una crescita del proprio Pil nel 2020: +2,3% nel 2020, addirittura meglio rispetto alle stime iniziali, nonostante il lockdown di inizio anno avesse fatto crollare il prodotto interno lordo del 6,8% nel primo trimestre. Una reazione di certo non inattesa, dato che le stime iniziali vedevano comunque la Cina assestarsi sopra il 2% di crescita del proprio Pil, ma che rappresenta comunque un caso unico in un mondo colpito dagli effetti della pandemia.

Eppure, la crescita della Cina non sembra far bene al gruppo Suning. Nella prima metà del 2020 i ricavi sono crollati del 13% e già prima che l’intero pianeta si fermasse per il Covid-19, la situazione debitoria del Suning Real Estate Group Co. era nettamente peggiorata. Inoltre, gli affari del gruppo che detiene le quote di maggioranza dell’Inter, hanno rivelato problemi inattesi in campo internazionale. Ad esempio, la querelle con la Premier League relativa alla cessione dei diritti televisivi del campionato inglese in Cina, trasmesso da PPLive Sports International (di proprietà di Suning). L’accordo triennale da 630 milioni è stato sciolto unilateralmente a seguito del mancato versamento di una rata da circa 180 milioni di euro. La Premier League ha fatto causa al gruppo cinese, che a sua volta ha fatto richiesta di un indennizzo al massimo campionato britannico. Ma i problemi calcistici per Suning si riflettono anche nella madrepatria, dato che il Jiangsu (controllato sempre dalla proprietà dell’Inter) ha ritardato il pagamento degli stipendi ai propri calciatori, versando una sola mensilità.

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Stipendi e mercato, le mosse dell’Inter

Il tema degli stipendi è divenuto di attualità anche in casa Inter, specialmente negli ultimi tempi. Come altre società di Serie A, infatti, il club nerazzurro ha dovuto trovare un’intesa con i propri tesserati per rinviare il pagamento degli emolumenti. Entro il 16 febbraio, la società milanese deve pagare le due mensilità relative a luglio e agosto, rispettando le scadenze federali. Per quelle di novembre e dicembre, nei giorni scorsi, è stato necessario trovare una nuova intesa con i calciatori (che hanno già visto entrare nei loro conti gli stipendi di settembre e ottobre). Anche per questo, però, l’Inter non ha intenzione di ingolfare il proprio monte ingaggi. Quello che sarebbe successo qualora fosse andato in porto lo scambio Dzeko-Sanchez con la Roma. Il cileno, all’Inter, gode infatti dei benefici del decreto crescita, il che permette alla società nerazzurra di versare un imponibile inferiore rispetto agli altri tesserati, pagando in totale circa 9 milioni lordi. Dzeko, con i suoi 7,5 milioni netti a stagione, avrebbe invece avuto un peso di circa 14 milioni, tasse incluse.

L’operazione è saltata e il mercato invernale dell’Inter, di fatto, non ha visto nuovi arrivi. Il rientro di Esposito dalla Spal (immediatamente girato al Venezia) e il prestito di Nainggolan al Cagliari sono gli unici movimenti di una campagna acquisti che ancora risente delle spese fatte in estate. Spese non ancora saldate del tutto, come dimostra l’affare Hakimi. Il Real Madrid, anche per spegnere le polemiche emerse in merito al mancato pagamento del cartellino del terzino marocchino, ha annunciato di non avere avanzato nessuna richiesta al club nerazzurro, «con cui il Real Madrid ha sempre mantenuto e mantiene rapporti eccellenti essendo un club storico e amico». Un’amicizia che ha portato, infatti, ad un accordo per modificare i termini del pagamento della prima rata, spostata al prossimo 30 marzo.

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Quali fondi di investimento sono attratti dall’Inter

In quella data, però, l’Inter potrebbe già non essere più di proprietà di Suning. Almeno, la proprietà cinese è da tempo attiva nella ricerca di possibili partner o acquirenti, con una strada che porta sempre più verso i fondi di investimento. L’opzione Bc Partners è ormai sfumata per le distanze sulla valutazione del pacchetto azionario e per la rottura tra le parti in merito alla richiesta di prolungamento dell’esclusiva. Scaduta l’opzione, l’Inter è finita nel mirino di altri fondi. In primis lo svedese Eqt, nel quale è presente la famiglia Wallenberg, proprietaria del 20% del fondo di private equity, ma attiva in tutte le principali attività imprenditoriali della Svezia, con partecipazioni in Ericsson, Electrolux, Skandinaviska Enskilda Banken, Saab e altre aziende. Oltre a loro, si sono interessati gli americani di Arctos Sports Partners, guidato da Ian Charles e David O’Connor, e di Ares Management. L’ultimo nome accostato al club nerazzurro, riportato dal Sole 24 Ore, è quello del fondo sovrano emiratino Mubadala, con alle spalle il colosso americano Fortress.

Tutti operatori di enorme caratura internazionale, che lasciano intendere quanto sia appetibile oggi l’Inter, come brand e come struttura societaria. Il tutto nonostante una situazione finanziaria di certo non florida: 45 milioni di ricavi persi nell’anno del Covid-19, un fatturato consolidato di 372,4 milioni di euro e una perdita di 102,4 milioni complessivi. Senza dimenticare il bond da 375 milioni di euro complessivi da rifinanziare. Numeri che spiegano il perché il club nerazzurro non abbia avuto grossi margini di manovra sul mercato invernale, ma che non scoraggiano eventuali nuovi investitori. Tanto più con Suning aperta alla prospettiva di una cessione, a dispetto delle smentite di rito.

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