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Francisco “Paco” Bru: difensore roccioso, primo Ct della Spagna, arbitro col revolver

La storia del primo uomo di calcio di Spagna, Francisco Bru, da tutti chiamato “Paco”. Fu difensore del Barcellona, partecipando alla stagione 1909-10 passata alla storia come quella delle “dieci coppe”. La sua carriera proseguì prima come arbitro, venendo ricordato perché usava portare con sé una pistola quando andava in campo, poi da allenatore: è stato il primo Ct della Nazionale spagnola, ma ha guidato anche il Perù nella prima edizione dei Mondiali di calcio, nel 1930 in Uruguay.
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Francisco “Paco” Bru aveva giocato così tanto a calcio, e lo aveva fatto con così tanta garra, da aver capito perfettamente che arbitrare non era affatto una cosa semplice. Al suo esordio col fischietto nel 1916, in un delicatissimo Universitary-Atletico Sabadell, per assicurarsi di non avere problemi a farsi accettare dalle squadre decise di presentarsi allo stadio con una pistola – un revolver Colt – ben in vista.

I giornalisti presenti per l’evento raccontarono di averlo visto arrivare negli spogliatoi, posare l’arma sul tavolo centrale e lentamente caricarla un proiettile alla volta, per poi cambiarsi, indossare la giacca nera (divisa ufficiale da arbitro al tempo, ndr) e infilarsela nei pantaloncini. “Voglio che sia una partita tranquilla”, disse ai giocatori che lo guardavano allibiti. E in effetti lo fu, probabilmente grazie anche all’altra massima che gli viene attribuita, e che – a differenza della prima – suona molto più come una minaccia: “O questa partita termina oggi, o qualcuno finisce nei necrologi di domani”.

Non è chiaro se sia stato questo approccio a dir poco “aggressivo” oppure se fosse effettivamente un fenomeno dell’arbitraggio, fatto sta che nel 1916 e nel ’17 diresse due finali di Coppa del Re, giocate entrambe a Barcellona, una vinta dall’Atletico Bilbao per 4-0 sul Real Madrid (che all’epoca si chiamava Madrid CF), l’altra conquistata dai capitolini ai danni dell’Arenas Club de Getxo. Notevole se si considera che fino a un anno prima, “Paco” faceva il difensore con la maglia blaugrana.

Francisco Bru, difensore per natura

Nasce a Madrid nel 1885, ma la sua infanzia e i suoi primi ricordi – specie quelli calcistici – sono legati alla Catalogna. Impara il futbòl, all’epoca lo sport dei gentlemen giocando con suo fratello al Velodromo de la Bonanova, che sorgeva alle spalle del Camp Nou, non lontano da Casa Milà e Placa de Catalunya. Di ruolo faceva il difensore, e non avrebbe potuto fare diversamente: appassionato di Jiu-Jitsu, ossessionato dal fisico e, soprattutto, amante delle sfide, visto che all’epoca la concezione del reparto arretrato era “due restano dietro, tutti gli altri all’attacco”. L’essere stato anche il detentore del record spagnolo di lancio del disco, nonché uomo forzuto per vari spettacoli circensi senza dubbio lo aiutò in quei corpo a corpo per proteggere la propria porta. Una carriere iniziata nell’FC Internacional a sedici anni nel 1902, proseguita poi nell’altro club nascente nel cuore della Catalogna, l’FC Barcellona, che al tempo era un piccolo club formato da 50 membri che pagavano una quota di due pesetas.

L’intera squadra finanziava da sé i viaggi in terza classe, e i biglietti per gli eventi venivano rivenduti – per venti centesimi l’uno – tra amici e familiari. A 24 anni Bru divenne capitano di un Barcellona che passò alla storia come quello delle “dieci coppe”, quando nel 1909-10 sembrava inarrestabile e – tra le altre – si portò a casa il Campionato Catalano, la Coppa dei Pirenei e quella di Spagna. L’anno successivo firmò per gli eterni rivali dell’RCD Espanyol,  diventando nuovamente e per due volte consecutive campione di Catalogna. Ritornò al Barcellona nel 1915 prima di appendere le scarpette al chiodo con uno score non male per un difensore: 201 partite giocate e 13 gol. La prosecuzione naturale della sua carriera era quella da allenatore: da capitano si era sempre occupato anche della gestione della squadra, ad esempio vietando ai suoi compagni di uscire la sera a bere, oppure organizzando gli allenamenti. Alla rivista Estampa rilasciò un’intervista: “Il calcio è la sintesi di tutti gli sport – disse – perciò iniziamo a correre alle sei del mattino, poi lanciamo i pesi, il disco, andiamo in bicicletta e saltiamo. Con questa resistenza potremmo giocare anche 15 partite in un mese”.

Il Velodromo de la Bonanova sorgeva in Via Augusta Modolell e ospitava le gare casalinghe del Barcellona
Il Velodromo de la Bonanova sorgeva in Via Augusta Modolell e ospitava le gare casalinghe del Barcellona

Da primo Ct della Spagna ad allenatore dei due mondi

Prima di allenare lavorò come giornalista per il Mundo Deportivo, ma gli fu subito chiaro che raccontare il calcio, rispetto al “viverlo”, non fosse proprio la stessa cosa. Nel 1916 fu mandato a seguire la semifinale di Coppa tra Real Madrid e Barcellona. Poco prima dell’inizio l’annuncio: i blaugrana avrebbero giocato in 9 perché il treno che avrebbe dovuto portare in città due calciatori, Vinyals e Massana, era in ritardo. Paco si sentiva a disagio seduto in tribuna col suo blocchetto pieno di appunti, scese in campo mostrando all’arbitro il suo vecchio tesserino da calciatore e giocò il secondo tempo con la squadra della sua città, venendo comunque sconfitto 4-1.

Il suo percorso da allenatore era iniziato mentre era ancora giocatore, quando nel 1914 prese la guida della prima squadra femminile spagnola, lo Spanish Girl’s Club, creato dalla Federazione Femminile contro la Tubercolosi di Barcellona per disputare partite di beneficenza e raccogliere fondi. Ma Francisco “Paco” Bru è passato alla storia per essere il primo commissario tecnico della Roja, avendo guidato la nazionale alle Olimpiadi di Anversa nel 1920. La Federcalcio mise al comando un triumvirato composto da lui, José Berraondo e Julian Ruete. Formarono una nazionale forte, combattiva e solida, con una base di calciatori baschi. “Senza i baschi non è una squadra spagnola”, ripeteva spesso Bru a Ruete. Nonostante le difficoltà, come il mancato finanziamento della trasferta da parte del governo e il rifiuto di allenarsi da parte di alcuni calciatori, la spedizione si concluse con una medaglia d’argento e l’accoglienza, una volta tornati a casa, del re Alfonso XIII, che riconobbe in lui la vera alma mater della squadra.

Poi una nuova occasione alla guida del Perù nei primi Mondiali in Uruguay del 1930: fu assunto 45 giorni prima dell’inaugurazione, e la lista dei convocati gliela fornì la Federazione: fu un flop, e Bru si dimise per tentare di risollevare dal rischio di una bancarotta il Racing de Madrid. Organizzò un tour promozionale in America, e sulla nave che li stava portando oltreoceano fu invitato a cenare con il generale Luiz Sanchez Cerro durante uno scalo a Panama. Mentre stavano mangiando, l’ufficiale gli chiese un favore apparentemente semplice: consegnare alcune lettere a Lima. Bru accettò senza sapere che quei documenti contenevano istruzioni per l'esercito in caso di colpo di stato. Per fortuna li nascose sotto i calzini e non furono scoperti al controllo doganale di El Callao.

La sua incredibile carriera sportiva si concluse dopo aver guidato anche il Madrid CF e averlo visto trasformare, nel 1939, nel moderno Real Madrid. Andò in pensione a quasi 60 anni, dopo essere stato il primo grande uomo di calcio della Spagna, e dopo essere stato – per il calcio – letteralmente tutto: difensore roccioso, arbitro col revolver, allenatore dei due mondi e, per non farsi mancare nulla, cospiratore militare a sua insaputa.

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