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Andres Iniesta l’Illusionista, l’uomo che con i piedi e la testa ha cambiato il calcio

Prima di Andrés Iniesta a centrocampo si inscenavano lotte all’arma bianchi fra medianoni muscolosi e tozzi. Poi arriva questo fuscello e non ingrana subito. Quando Guardiola capisce la particolarità estrema sua e di Xavi, cambia tutto. E Iniesta diventa l’Illusionista, il centrocampista capace di fare magie grazie alla sua pulizia tecnica e un’intelligenza sopraffina.
A cura di Jvan Sica
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Andrés Iniesta, Don Andrés, un calciatore meraviglioso, che ha vinto tantissimo, ha marchiato un’epoca, ma soprattutto ha cambiato il calcio. Ancora oggi in tutto il mondo si cerca un nuovo Iniesta, nella difficoltà ovvia di chi sa che uno come Andrés Iniesta non nasce ogni due anni.

Andrés Iniesta appare nel calcio di inizio nuovo millennio, un calcio fortemente codificato soprattutto per quel che bisogna schierare a centrocampo. Tutte le migliore squadre al mondo al centro del campo schierano due mediani che hanno il compito di lottare su ogni pallone, cercando di non fare superare palla al piede agli altri due mediani una determinata fascia di campo. La fantasia? La fantasia, se proprio deve esserci, è spostata sulla fascia o al massimo è ghettizzata nella posizione di seconda punta, ma non deve fare troppo rumore e correre come gli altri.

Quando Iniesta inizia a giocare con una certa continuità nel Barcellona del 2004-2005 pesa più o meno 65 chili, è alto 1,70, non ha praticamente muscoli ma non è nemmeno un fascio di nervi e ha la faccia del ragazzino rachitico che sfotti alle medie. Per fare un confronto vicino, il Real Madrid nel suo ruolo quell’anno schierava Thomas Gravesen. Non so se vi ricordate come era carrozzato il danese. Di lniesta si sapeva solo quello che lo stesso Iniesta poi dirà:

“Anche se da piccolo giocavo a futsal, io non ho mai smesso di provare a fare ciò che faccio”.

Una frase sibillina e confusa, ma che invece ha un senso. A lui piaceva provare e dare piacere giocando con la palla al piede. I primi anni questo piacere non lo dava a nessuno, poi si capì che quello che provava a fare, riuscendoci, erano magie vere e divenne “L’Illusionista”. Da quel momento in poi e nel calcio di oggi è evidente, la tecnica pura, quella minima del saper controllare al meglio il pallone e poi passarlo al compagno nella maniera più pulita possibile, è il punto di partenza per qualsiasi squadra. E, ripeto, prima di Don Andrés non era così.

Per far rifulgere un campione assoluto come Iniesta però serviva un allenatore che modificasse l’idea stessa del calcio nelle due fasi in cui si sviluppa, possesso e non possesso. Josep Guardiola comprese Iniesta e Xavi e, da pedagogo quasi più che da allenatore, creò un contesto di squadra che ne esaltasse i punti di forza e occultasse i loro punti deboli.

Partiamo da questi. Cosa non sapevano fare? Non sapevano lottare fisicamente con gli avversari, soccombendo sempre nel corpo a corpo e non sapevano correre all’indietro. In cosa eccellevano? Nella tecnica pura sintetizzata nella velocità con cui stoppavano e poi giocavano precisi il pallone e nel corre in avanti, anche quando non avevano il pallone. Guardiola capì che per esaltarli quindi bisognava creare una squadra che doveva tenere il pallone per buona parte della partita, così da trovare lo spazio giusto al momento giusto e che non doveva quasi mai correre all’indietro, ma una volta persa la palla continuare a correre in avanti, per riaggredire gli avversari. Nacque il tiki taka, il Barcellona di Guardiola, una delle squadre migliori di tutti i tempi.

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“Al Barça siamo felici di dividere lo spogliatoio senza primedonne o gelosie. Non è nemmeno una questione di umiltà. Semplicemente, a me non frega nulla di avere atteggiamenti da superstar. Dovrei recitarli, perché io non sono così”.

Ecco un’altra caratteristica di Iniesta. Fino a quel momento non poteva esistere un campione contemporaneo se non fosse totalmente mediale. Il calciatore che spostava gli equilibri in campo doveva farlo anche nel costume, nella moda, negli atteggiamenti, nei sogni dei bambini, nell’apparenza. Questa messa in scena del talento in parte era una costruzione e in parte faceva parte ormai naturale di chi era salito sulla sedia della grandezza. Iniesta e tutti gli altri di quel Barcellona, Messi compreso, erano ragazzi che volevano giocare al calcio e non chiedevano di essere seguiti o di essere d’esempio, ma semplicemente lasciati in pace per fare quello che li divertiva e li soddisfaceva sotto tutti i punti di vista, anche economicamente, s’intende. Quando sei nello spogliatoio del Barcellona e vedi Iniesta vivere tutto senza slanci di protagonismo, è obbligatorio fare un passo indietro, farsi domande e restare in silenzio, anzi ascoltando il silenzio dell’esempio.

Ancora una volta Iniesta ha fatto scuola e seguaci. Oggi, nonostante la grancassa della globalità mediale ci sommerge, i campioni veri sono molto sintetici e minimali, quasi assenti, come lo è stato Iniesta per tanti anni. Lasciano spesso spazio a qualcun altro, gli allenatori in primis, per farsi sentire dove serve, sul campo.

Infine Iniesta è “ancora tra noi” per la sua tecnica sopraffina. Diceva Vicente del Bosque, che lo ha allenato in Nazionale:

“Tecnicamente è perfetto e gioca anche con una gran disinvoltura, quasi, quasi senza sforzo. È come quando Federer gioca a tennis, a malapena suda. Iniesta quasi non fatica quando gioca ed è straordinario che sia un nostro giocatore”.

Saper toccare il pallone ti permette di fare un calcio sostenibile, in quanto a risparmio di risorse. Iniesta faceva pochissime cose, le faceva benissimo e le rendeva preziose per la squadra. Agli assist incredibili con cui serviva le punte, bisogna aggiungere anche dei piccoli e quasi impercettibili movimenti del corpo mentre portava la palla. Non toccava punte di velocità sensazionali, non aveva il corpo per superare blocchi e scontri eppure passava, andando oltre le linee di gioco. Ci riusciva proprio grazie a questi essenziali movimenti del corpo in conduzione, che permettevano di sbilanciare gli avversari e quasi lasciarlo passare, come se davvero scomparisse, per poi riapparire alla spalle del difensore. Questa è la dote più ricercata oggi in un centrocampista, o sarebbe meglio dire in una mezzala. Guardiola ha scelto Gundogan per fare questo lavoro e il calciatore tedesco ci sta riuscendo egregiamente. Ma nemmeno lui è Don Andrés. Oggi una squadra che trova un centrocampista che riesce a superare il primo pressing e disordina le linee di gioco avversarie ha trovato un tesoro. Ma questo tesoro non è così facile da trovare.

Iniesta è ancora un riferimento quindi per tante cose, ma non dobbiamo dimenticare che è ancora in attività, in Giappone nel Vissel Kobe. E in Asia lo trattano come una mezza divinità, qualcosa di intoccabile. Forse loro meglio di noi sanno che finché non nasce un nuovo Iniesta (chissà quando), è sempre meglio preservare e godersi il vecchio fino a quando vorrà.

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