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Acerbi urla la propria innocenza su Juan Jesus: “Il tumore è stato nulla al confronto, massacrato per un malinteso”

Il difensore dell’Inter parla dopo la sentenza di assoluzione dall’accusa di razzismo mossagli da Juan Jesus: “Sono dispiaciuto per lui ma è stato un malinteso nella concitazione di gioco”. Ora vuole solo tornare a giocare.
A cura di Maurizio De Santis
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Francesco Acerbi rompe il silenzio e urla la propria innocenza. È stato assolto per mancanza di prove dall'accusa di razzismo nei confronti di Juan Jesus e adesso si sfoga per "l'accanimento" che c'è stato (e c'è) nei suoi confronti. Definisce la sentenza del giudice sportivo una "liberazione", ribadisce che non ha mai pronunciato la frase denunciata dal difensore del Napoli (all'arbitro, sui social e riferita anche alla Procura federale).

"Ha capito male", lo disse in stazione centrale a Milano e lo ha sostenuto con fermezza anche dinanzi agli inquirenti. Non c'erano riscontri attendibili abbastanza perché fosse condannato a una squalifica pesantissima, sia sotto il profilo sportivo sia personale e a livello di club per il duro colpo all'immagine che sarebbe arrivato di riflesso.

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"Abbiamo perso tutti", dice a corredo di una vicenda che ha lasciato strascichi polemici e sospetti che nemmeno "l'abbraccio" ecumenico del presidente federale, Gabriele Gravina, è servito a mitigare. Del resto, il dispositivo del verdetto non ha contribuito a fornire elementi di chiarezza assoluta.

La sentenza è stata una liberazione anche se tutta la situazione che si è creata mi ha arrecato grande tristezza.

È stata fatta salva la "buona fede" di Juan Jesus ma, al tempo stesso, è stato precisato che solo un materiale probatorio certo e inconfutabile avrebbe potuto spingere il giudice sportivo a pronunciarsi "oltre ogni ragionevole dubbio" tra l'assoluta certezza della commissione dell'illecito e la mera probabilità. E, a leggere le sue parole al Corriere della Sera, sarebbe stato come ammazzare un innocente.

Mi sono sentito trattato come se fossi uscito dalla galera dopo dieci anni. Non sono mai stato razzista. Non c'è stato alcun razzismo in campo. Il mio idolo era George Weah.

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Ora può parlare. C'è stata una sentenza di assoluzione e può esprimere, finalmente, la sua opinione. Ha atteso ancora qualche giorno e poi ha deciso di dire tutto.

Avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare il polverone. Non ho nulla contro Juan Jesus e sono dispiaciuto anche per lui. Ma non si può dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione di gioco, per una cosa che era finita in campo. Il razzismo è una cosa seria, non un presunto insulto.

Acerbi si è sentito in qualche modo discriminato? Sì, e sottolinea con forza dialettica d'aver provato la sensazione di accerchiamento, d'essere stato messo spalle al muro da un pregiudizio (nel senso letterale del termine: ovvero giudicato e condannato dal tribunale dell'opinione pubblica all'oscuro dei fatti).

Se una persona sbaglia è giusto che paghi, come io ho pagato la multa quando ho mostrato il dito medio ai tifosi della Roma che mi urlavano ‘devi morire'. Lo gridavano a me che sono guarito due volte da un tumore.

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Una passeggiata. Acerbi racconta così il periodo peggiore della sua vissuta che ha vissuto da quando ha saputo di essere affetto da un tumore fino alla piena guarigione. Lo mette in controluce rispetto alla vicenda Juan Jesus e, anche se sembra paradossale, sostiene non vi sia paragone. E spiega.

Contro di me c'è stato un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno. Hanno umiliato, massacrato me e la mia famigliaLa malattia che ho affrontato è stata una passeggiata… allora non ho avuto paura. Tutti avevano già emesso la sentenza. E per tanti sono ancora un razzista. E per me questo è inccettabile.

La chiosa è sulle cose di campo che in campo dovrebbero restare. Sul desiderio di mettere "un punto" a tutta questa storia perché ne "è stanco" e vuole solo tornare a giocare. Peccato lo farà senza aver risposto alle domande che sono sulla bocca di tutti e gli andavano fatte per amore di chiarezza da parte sua: perché ha sentito il bisogno di scusarsi subito, in campo, anche davanti all'arbitro se non ha detto quelle cose? Qual è stata la parola (o l'espressione) interpretata male dall'avversario? Davvero gli ha detto ‘ti faccio nero'? Perché lui stesso, che ora parla di polverone, non ha taciuto dopo che Juan Jesus gli aveva teso una mano senza dare pubblicità alla questione davanti ai microfoni? E ancora: adesso è forse pronto a sporgere querela contro di lui per calunnia?

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