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Sesto Uomo dell’Anno in NBA: tutti all’inseguimento di Jordan Clarkson

Jordan Clarkson guida, con margine, la schiera dei candidati al premio di Sesto Uomo dell’Anno. L’ex Cavaliers sta dando la miglior risposta a chi aveva visto con scetticismo il rinnovo quadriennale da 50 milioni complessivi coi Jazz. Oggi in NBA nessuno incide quanto lui in uscita dalla panchina.
A cura di Luca Mazzella
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In 5 per un premio, o forse no. A differenza delle scorse annate, la corsa all’ambito Sixth Man of The Year 2020-21 sembra aver un unico, incontrastato, candidato al premio, ma il prosieguo della stagione potrebbe cambiare l’attuale graduatoria dei favoriti per la statuetta destinata a chi è stato maggiormente capace di incidere partendo dal “pino”, la panchina NBA.

Jordan Clarkson – Utah Jazz

Giunto a Salt Lake nel dicembre del 2019 in cambio di Dante Exum e un paio di scelte al secondo giro che i Jazz hanno offerto ai Cavs per arrivare a lui, Jordan Clarkson ha giocato una discreta prima annata che gli ha fatto meritare l’estensione quadriennale per 51 milioni complessivi. A dispetto di chi però aveva giudicato i numeri dell’anno in scadenza con il classico effort da contract-year (la stagione che, complice la scadenza del contratto, motiva i giocatori a produrre i più alti numeri possibili), Clarkson è diventato una pedina fondamentale di quella che oggi record alla mano è la migliore squadra NBA. Come spesso capita, e i suoi compagni Mike Conley e Bojan Bogndanovic insegnano, è solo dopo un anno di apprendistato che si entra a pieno negli schemi di coach Quin Snyder e oggi l’esterno ex Cleveland sembra aver trovato la sua dimensione ideale da Sesto Uomo, dopo tanti anni fatti di qualche lampo di talento, un’innata capacità di fare canestro ma un’anarchia che mal si è coniugata con contesti ambiziosi e vincenti. Oggi Jordan segna 18.1 punti a partita, primo per distacco tra i giocatori non-starters, e ha già scritto un pezzo di storia dell’NBA 2020-21 coi 40 punti in 29 minuti e 8 triple in una notte da ricordare contro Philadelphia. Se la stagione dei Jazz dovesse proseguire sugli standard attuali, non ci sarà nemmeno discussione sul premio.

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Chris Boucher – Toronto Raptors

Si può essere candidati al premio di Sesto Uomo e di Giocatore più Migliorato dell’Anno? Si, se ti chiami Chris Boucher. L’ala grande, o ala piccola, o centro (non è ironico, Nick Nurse lo ha utilizzato nei quintetti più disparati vista la sua straordinaria versatilità) sta vivendo la stagione della svolta in Canada, segnando 13.0 punti a partita e tirando col 45% dall’arco, a cui aggiunge 6.5 rimbalzi nei 23 minuti a partita (lo scorso anno superava di poco i 13). Il tutto da titolare di una statistica molto particolare: le sue 0.9 stoppate a partita su tiri da 3 dimostrano una capacità nei close-outs dovuta a una clamorosa apertura alare e a mezzi atletici e fisici fuori dal comune. Nei Toronto Raptors risaliti nelle posizioni più alte della Eastern Conference il suo nuovo ruolo da centro nei quintetti super-small sperimentati da Nick Nurs è una delle chiavi della ripartenza.

Shake Milton – Philadelphia 76ers

Uno dei motivi per cui Philadelphia è finalmente esplosa è racchiuso nel sorprendente rendimento di Shake Milton, emerso sul finale della scorsa stagione e quest’anno altamente preso in considerazione da coach Doc Rivers, una delle chiavi della svolta dei 76ers. Shake segna 13.4 punti a partita e al terzo anno di carriera sembra finalmente aver trovato il suo posto nella lega. Il quintetto di riserve con Matisse Thybulle, Tyrese Maxey, Furkan Korkmaz e Dwight Howard vede in lui lo scorer numero uno, con le prestazioni da 31 e 28 punti contro Heat e Grizzlies a spiccare in una solidissima prima parte di stagione. Il premio o anche solo essere tra i più credibili candidati a vincerlo è una soddisfazione enorme per un giocatore passato dalla G-League e per molti a rischio taglio, prima di sfruttare al meglio i minuti a disposizione e diventare una pedina fondamentale nello scacchiere dei comprimari al servizio di Embiid e Simmons.

Tim Hardaway Jr – Dallas Mavericks

Il nome di Tim Hardaway Jr, a inizio stagione, non era certo tra quelli prevedibili in ottica 6th Man of the Year, ma dal rientro di Josh Richardson coach Rick Carlisle ha trovato per il figlio d'arte un'interessante collocazione in uscita dalla panchina, dalla quale in 14 apparizioni ha segnato sinora quasi 17.1 punti di media, ma soprattutto ha contribuito ad un record di 10 vittorie e 4 sconfitte in queste gare. Un'arma pensata ad hoc per avere una maggior produttività dalla second-unit, uno dei tanti problemi dei texani da inizio stagione, e al contempo sfruttare il cambio di ritmo dettato dall'energia portata dalla guardia classe '92. Non avendo ancora risposte dal mercato, Carlisle è riuscito a reinventare la squadra con i giocatori a disposizione e questa intuizione sta pagando in termini di risultati. Se Dallas è rientrata pienamente nella corsa Playoffs è merito anche di Tim.

Terrence Ross – Orlando Magic

Come accade ormai da anni, Terrence Ross si sta dimostrando uno dei più solidi realizzatori in uscita dalla panchina di tutta l’NBA, chiave della produttività offensiva della second-unit degli Orlando Magic e capace di portare tanta intensità anche nella propria metà campo. I numeri restano però l'unica reale soddisfazione dell'ex Raptors, che mai come quest'anno sembra aver raggiunto maturità e consapevolezza per una chiamata da una squadra da anello. Anche perché il contributo del 30enne non si sta solo notando nella metà campo offensiva, ma anche in difesa, dove Ross è sesto in NBA per percentuale concessa ai diretti avversari quando in marcatura e secondo dopo Vucevic per deflections, in squadra. Un giocatore del genere, nella giusta contender, potrebbe essere una pedina fondamentale.

Possibili sorprese: Montrezl Harrell (Los Angeles Lakers) – Eric Gordon (Houston Rockets) – Patty Mills (San Antonio Spurs) – Goran Dragic (Miami Heat).

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