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Golden State si prende la copertina del Christmas Day: una prestazione da favorita per il titolo NBA

La partita vinta contro i Phoenix Suns nel big match di Natale rafforza le convinzioni di chi vede in Steph Curry e compagni la candidata numero uno al successo finale in NBA.
A cura di Luca Mazzella
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È stato un Christmas Day partito maluccio con una Atlanta-New York pessimo biglietto da visita a causa delle defezioni in casa Hawks, che hanno reso il match scontato e davvero povero di contenuti tecnici di rilievo, fatta eccezione per la bella storia di Kemba Walker, fuori squadra fino a una settimana fa e oggi uomo-copertina dei Knicks. Le sfide successive tra Celtics e Bucks, Suns e Warriors, Lakers e Nets e per finire Jazz e Mavs hanno regalato partite equilibrate e scarti di punteggio davvero minimi. Ma, soprattutto, con la quasi totalità degli appassionati NBA collegati davanti agli schermi, hanno dato a tutti la possibilità di riconoscere e apprezzare il valore di tante squadre e valutare gli attuali equilibri della lega. I Celtics sono belli nei nomi ma tremendamente inefficaci sul campo, i Bucks giocano con la consapevolezza di chi forte di un titolo sa di avere tutto per trionfare, i Lakers sono nei guai. A queste massime, ovviamente da analizzare nelle scale di grigi e senza giudizi trancianti dopo quella che resta una singola partita, se ne aggiunge una che col tempo sta guadagnando però sempre maggiori tratti di assolutezza: i Golden State Warriors sono i favoriti a vincere il titolo NBA.

Vincere…nonostante tutto

Ci sono vari modi per dare enormemente valore al 116-107 con cui ieri sera i Golden State Warriors hanno battuto la resistenza dei Phoenix Suns, superandoli nuovamente al primo posto della Western Conference con il miglior record (27-6) tra le 30 squadre NBA. Il primo su tutti, le assenze: Andrew Wiggins (18.7 punti),  Jordan Poole (17.9 punti), rispettivamente secondo e terzo miglior marcatore della squadra. E ancora: Klay Thompson, prossimo al rientro e secondo miglior giocatore del team, Andre Iguodala, Damion Lee (8.4 punti di media, quarto assieme a Draymond Green per media), James Wiseman. Un quintetto (più uno) che probabilmente finirebbe col contendere un posto Playoffs alle attuali squadre in lotta tra Est e Ovest, interamente fuori tra covid e problemi fisici. E se le assenze sembrano un motivo sufficientemente forte per considerare pesantissimo il successo di ieri, arrivato per giunta contro una Phoenix al completo e con i suoi Big 4 a disposizione (Chris Paul, Devin Booker, Mikal Bridges e DeAndre Ayton), può ulteriormente aiutare vedere i numeri con cui il miglior uomo della squadra, Steph Curry, ha chiuso il match: 10/27 al tiro, 5/16 da tre, non certo la sua miglior serata.

Eppure, le attenzioni che come testimoniato dai raddoppi sistematici continua ad avere anche nelle prestazioni più opache (per modo di dire, ha segnato 33 punti) ne fanno comunque IL fattore nell'economia del gioco degli uomini di Kerr, che delle spaziature generate da Steph creano continui vantaggi concretizzati spesso anche da giocatori insospettabili come l'eroe di serata, Otto Porter Jr, o quel Gary Payton II arrivato come quindicesima firma del roster e oggi specialista difensivo e energizzante della squadra di Kerr. Se però il neo coach di Team USA, anche in contingenze simili, riesce a ottenere il massimo dai minuti del rookie Jonathan Kuminga o degli sconosciuti ai più Quinndary Weatherspoon e Chris Chiozza, la portata del successo dei Warriors diventa molto più che enorme. E rende la partita di ieri una statement victory, come dicono in USA: una dichiarazione di intenti senza se e senza ma di una squadra che tra tante avversità e una prestazione tutto sommato normale del suo miglior giocatore si impone contro la rivale numero 1 nella corsa alla Western Conference. Costringendo con la solita straordinaria difesa – la migliore di tutta l'NBA – Devin Booker ad una serata da 5/19 al tiro e riuscendo comunque a resistere allo strapotere nel pitturato di DeAndre Ayton, già X-Factor nel primo appuntamento tra le due squadre di poche settimane fa.

E può andare solo meglio

Cosa fa davvero paura di questa Golden State? Immaginare, ad esempio, che le spaziature create dalla gravity di Curry offriranno metri di spazio a quel Klay Thompson pronto al rientro. O pensare che il giovanissimo James Wiseman potrà dimostrarsi maturo al punto da poter confidare nei suoi minuti a protezione del ferro contro avversari più grossi come Ayton o, perché no, come Giannis Antetokounmpo, o che nella peggiore delle ipotesi l'enorme margine di miglioramento del ragazzo potrà ingolosire squadre in ricostruzione al punto da offrire giocatori pronti in cambio e colmare in un batter d'occhio l'unico vero punto di vulnerabilità della squadra, cosa che un Myles Turner da Indiana potrebbe fare. E ancora: pensare di poter sì contare sull'eroe di turno di nome Otto Porter, Nemanja Bjelica o Gary Payton, ma facendolo con un roster con Wiggins, Poole, Iguodala, Lee e i citati Thompson e Wiseman arruolabili. Se ieri sono bastati appena 9 giocatori di cui uno firmato in extremis per emergenza covid e un paio di comprimari, poter contare su altri 6 rinforzi pronti all'uso può solo rendere infinite le soluzioni per Steve Kerr. Che ha una macchina rodata ma per assurdo nemmeno al 50% del sui potenziale, che si potrà apprezzare nella sua pienezza solo a roster completi. E se tutti questi non vi sembrano segnali pessimi per le altre contender…

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