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Dal crollo psicologico al ritorno in NBA, Rui Hachimura fa di nuovo ciò che ama di più

Schiacciato dal peso della disfatta olimpica subita con il suo Giappone, il lungo dei Wizards aveva deciso di dedicarsi esclusivamente a riprendersi dal punto di vista psicologico.
A cura di Luca Mazzella
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Rui Hachimura è un cestista di nazionalità giapponese, ruolo ala grande, che gioca nei Washington Wizards in NBA. Nato a Toyama l'8 febbraio del 1998 da padre originario del Benin, stato dell'Africa Occidentale, e madre giapponese, dopo l'Università a Gonzaga nel 2019 si sono aperte per lui le porte della lega di pallacanestro più famosa del mondo. Una scelta, quella che i Wizards hanno speso per lui con la numero 9 del draft, che ha reso Rui un punto di riferimento del basket giapponese e la sua più grande speranza. Ruolo che "Louis", questo il nome scelto da papà prima che per questioni di pronuncia fosse trasformato in quello attuale una volta in Giappone, non vedeva l'ora di poter svolgere a suon di giocate di potenza e canestri faccia e spalle a canestro.

Lo testimonia la spilla bianca e rossa che mentre sale sul palco una volta annunciato Rui espone orgogliosamente dall'alto dei suoi 205 centimetri. I primi 2 anni nella lega sono un filo sotto le aspettative, nelle difficoltà di crearsi credibilità dal palleggio e oltre l'arco alternate a giocate spettacolari che lo hanno reso a suo modo comunque un idolo della tifoseria dei Wizards, ma non solo. Già, perché è da quando Rui Hachimura è un giocatore NBA che questo ragazzo vive eternamente sotto i riflettori e con costanti pressioni di orde di giornalisti, opinionisti e media del suo Paese che già dai primi allenamenti e dalle amichevoli della Summer League hanno iniziato a documentarne ogni singolo passo. 40-50 microfoni a inseguirlo negli spogliatoi, ad attendere ogni sua dichiarazione, a commentare ogni singola giocata fatta in campo.

Un piccolo Grande Fratello, per qualcuno facile da sopportare, per altri tremendo. Nonostante sin dalla notte del draft fosse chiaro il destino in termini mediatici che Rui avrebbe avuto nella storia sportiva giapponese, forse nemmeno lo stesso diretto interessato poteva immaginare quanti oneri derivassero dalla responsabilità di dover rappresentare una Nazione intera nel mondo, e doverlo fare si da figlio del Sol Levante, dal lato materno, ma anche per metà del Benin. E nonostante si parli di una superpotenza mondiale in cui le spaccature razziali si suppone siano ben lontane dall'ordine del giorno, ancora oggi le persone di pelle scura come Rui vengono etichettate col fastidioso termine "hafu", giapponese a metà, e sono ben lontane dal definirsi culturalmente integrate con il resto della popolazione.

Le sempre più esigenti aspettative sportive, unite alle pressioni che il volto del basket nipponico ha subito da portabandiera della spedizione e uomo-immagine della sua Nazionale nelle recenti olimpiadi di Tokyo, hanno contribuito a far finire Rui Hachimura in un burrone. 3 sconfitte su 3 nel torneo, a cancellare le entusiasmanti affermazioni in amichevole contro Belgio e Francia, sono bastate per far cadere tutto il castello di divinizzazione che ormai da oltre 2 anni veniva eretto sotto i suoi piedi.

La pausa

Senza alcun annuncio ufficiale, anzi comunicando alla franchigia la sua decisione solo con un SMS, il 27 settembre Rui Hachimura sceglie di disertare gli allenamenti, lasciare la squadra e iniziare un lungo percorso dentro se stesso finalizzato a trovare le cause e se possibile i rimedi per risolvere i suoi problemi di salute mentale uscendo dal tunnel in cui pressioni incessanti e attese riposte in lui lo hanno fatto piombare. E per farlo, sceglie di non lasciar alcun margine per lo sport che ama di più e che negli anni gli ha dato fama, soldi e popolarità: la caduta dall'essere una sorta di eroe Nazionale fino a essere bollato come capro espiatorio della fallimentare missione a 5 cerchi soffocano il 23enne, che dice basta. Non è un addio, o almeno questo è ciò che tutti sperano. E in effetti Hachimura, richiamato dall'irresistibile attrattiva che la palla da basket esercita, finisce con l‘allenarsi di notte, spesso da solo, pur di non avere telecamere e domande a cui dar conto. Gli serve del tempo per lavorare sulla sua salute mentale, e le poche indiscrezioni che emergono a riguardo non consentono di stilare una tabella di marcia.

Per una lega dove questo genere di messaggi sono per fortuna diventati di tremenda attualità grazie a giocatori come Kevin Love, DeMar DeRozan o Kelly Oubre per citare solo i più famosi e recenti esempi di star che hanno ammesso di aver avuto o di avere tutt'ora problemi di salute mentale, la scelta di chiudersi a riccio di Rui Hachimura va in timida controtendenza ma è giustificata anche da come il Giappone ha mediaticamente trattato l'altro grande atleta "hafu" di questa generazione nipponica, la tennista Naomi Osaka, diventata il bersaglio di innumerevoli critiche e anche lei, come il collega, riparatasi in un lungo silenzio ristoratore lontano dalle schegge impazzita dell'opinione pubblica e di una popolazione che storicamente ha da sempre un'enorme considerazione di se stessa e pretende sempre il massimo anche da chi la va a rappresentare nel mondo. Già il semplice coming-out di entrambi, in realtà, va visto come un gesto di enorme importanza proprio per i tanti bambini che con i loro vissuti personali hanno sempre avuto l'ambizione di rappresentare.

Il ritorno

Il silenzio di Rui è durato quasi 4 mesi ed è stato interrotto l'altro ieri, nella sfida contro i Magic, quando con 6 minuti da giocare nel secondo quarto ha ricevuto palla sulla linea di fondo chiudendo con una poderosa schiacciata e ricevendo ufficialmente una sorta di secondo battesimo da giocatore NBA.

Rui ha chiuso a 6 punti, ma quantificare il peso che ogni singolo canestro abbia avuto su autostima, consapevolezza e serenità è un'impresa impossibile e allo stesso tempo una risposta che solo lui saprebbe darci. A fine partita, sentirgli dire che "Gioco a basket da quando avevo 13 anni, senza sosta e stare lontano dalla pallacanestro per un po' di tempo per concentrarmi sulla mia salute mentale mi ha ricordato quanto sia innamorato di questo sport. A un certo punto riguardavo i miei highlights ogni giorno" è già la più grande vittoria per il ragazzo di Toyama. Che oggi torna a calarsi con un ritrovato sorriso nello sport che ama di più, con la certezza di poter trovare sempre maggior comprensione e vicinanza anche dai colleghi in una lega che pur viaggiando spedita a mille all'ora nel nome del dio denaro e dello spettacolo, ha imparato e continua a imparare dai suoi giocatori quanto la corazza dei suoi più famosi fenomeni, i muscoli e i tatuaggi, non siano che la superficie di qualcosa di molto più complesso e vulnerabile. Sul quale non si deve mai smettere di lavorare.

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