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Il grande “no” che ha dato il via all’epoca dei boicottaggi olimpici

Il 20 gennaio 1980 Jimmy Carter taglia i ponti con il passato e la conciliazione fra blocchi. Sceglie la strada del boicottaggio olimpico di Mosca 1980, per protestare in primo luogo contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Quattro anni dopo, in vista di Los Angeles 1984, anche l’URSS boicotterà le Olimpiadi.
A cura di Jvan Sica
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Il 1979 fu un anno molto “pieno” da un punto di vista geopolitico. Dopo anni di contestazioni e repressioni e un anno esatto di rivolte sempre più violente e partecipate, il 16 gennaio 1979 lo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, scappa da Teheran mentre l’Ayatollah Khomeyni torna in patria dopo 15 anni di esilio e istituisce la Repubblica islamica, ponendo le basi per un contrasto duro e senza esclusioni di colpi sia con l’Occidente che con l’URSS.

Gli USA e tutto l’Occidente vengono colti di sorpresa, tanto è vero che qualche mese dopo i pāsdāran entreranno nell'Ambasciata statunitense a Teheran e prenderanno in ostaggio 54 persone, senza che gli USA abbiano percepito il pericolo e abbiano un piano veloce per il rilascio. L’URSS, che soprattutto in Asia ha sempre avuto un fiuto migliore degli Stati Uniti, nel dicembre del 1979 decide di invadere l’Afghanistan, cercando in questo modo di contenere o almeno gestire direttamente l’onda rivoluzionaria di stampo islamico che l’Iran aveva innescato.

Jimmy Carter, il Presidente americano del tempo fino a quel momento aveva preso solo schiaffi. L’Iran lo sfidava apertamente, definendo gli USA il diavolo contro cui combattere fino alla morte, l’URSS aveva messo direttamente i suoi carrarmati nella regione per poterla controllare meglio, lui era un presidente debole, aveva fatto prendere in ostaggio 54 persone senza capire come liberarli e nell’estate di quell’anno aveva pronunciato il famoso “Discorso sul malessere”, nel quale partendo dai problemi energetici che affliggevano il mondo, parlò di un futuro in cui non si doveva per forza di cose continuare a crescere vertiginosamente, ma in cui il risparmio, la condivisione (parlò di car-sharing ad esempio), un progresso collettivo meno rapace dovevano essere le nuove linee guida della società americana. Oggi sembra un discorso addirittura profetico, ma nel 1979 dire a un americano che gli USA doveva più essere il Paese del guadagno rapace, veloce e della felicità da prendersi a suon di dollari faceva parecchio strano.

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Come rimettersi in marcia quindi, pensò Carter, a un anno dalle nuove Presidenziali? In politica interna aveva pochi margini di manovra perché la crisi energetica era ancora molto presente e gli americani la imputavano soprattutto alla sua amministrazione incapace di dominare i Paesi in cui c’era il petrolio. Restava la scena internazionale per fare la voce grossa e la scelta sovietica di invadere l’Afghanistan portò Carter a pensare a un colpo di scena di grande effetto, che lui sperava avesse un impatto deciso sull’opinione pubblica del suo Paese: boicottare le Olimpiadi di Mosca 1980.

Il boicottaggio delle Olimpiadi ha una storia lunghissima, almeno a partire dal desiderio di tanti di non partecipare alle Olimpiadi naziste di Berlino 1936, come spiega perfettamente il libro di David Clay Large, che ha per titolo proprio “Le Olimpiadi dei nazisti. Berlino 1936”. I primi a metterlo in atto però furono, in occasione di Montreal 1976, i Comitati olimpici di 27 Paesi africani, 1 asiatico, (l’Iraq) e 1 americano (la Guyana) per protestare contro la Nuova Zelanda, presente a quelle Olimpiadi, che aveva inviato la sua squadra di rugby in Sud Africa per giocare contro squadre ovviamente di soli bianchi. Il Sud Africa era fuori dal consesso sportivo internazionale per colpa del regime di Apartheid con cui schiacciava la sua popolazione di colore e affrontarla era uno smacco per l’intero sport mondiale.

Carter quindi aveva un precedente, aveva anche un’onda di opinione pubblica che lo sosteneva e che chiedeva il boicottaggio delle Olimpiadi in Unione Sovietica per sottolineare le loro violazioni dei diritti umani e andò dritto. In poche settimane, nonostante il CIO con il suo Presidente uscente, l’irlandese Michael Morris Killanin e quello entrante nel 1980, Juan Antonio Samaranch, abbiano fatto di tutto per far distogliere Carter dalla decisione, il Presidente Carter decise definitivamente per il boicottaggio. Era il 20 gennaio 1980.

Questo portò a un ulteriore raffreddamento in ambito politico fra i due blocchi, ma anche a conseguenze in ambito sportivo. Oltre agli statunitensi, tanti atleti militari dell’Alleanza atlantica non poterono partecipare e altri lo fecero, da privati, a titolo individuale e non rappresentando il proprio Paese con la bandiera e l’inno. In realtà dopo le vittorie di Mennea, Sara Simoeni, Patrizio Oliva, Ezio Gamba e tante altre medaglie, non abbiamo mai penato per l’assenza della bandiera.
Quattro anni dopo ci fu forse il più bambinesco atto di “specchio riflesso” della politica mondiale. Questa volta fu l’URSS a boicottare Los Angeles 1984, facendoli però penare di più in quanto la decisione è solo dell’8 maggio 1984, a pochi mesi dalle Olimpiadi, portandosi dietro altri 14 Paesi. La giustificazione scelta in quel caso fu di “troppa avversione se non isteria anti-sovietica”.

In questo caso noi dell’Italia ne uscimmo ancora meglio, vincendo 32 medaglie e arrivando addirittura quinti nel medagliere.
Per Tokyo il pericolo boicottaggio non c’è, anzi tutti i Paesi del mondo vorrebbero partecipare, perché questo vuole dire che la pandemia ci sta facendo di nuovo tornare alla normalità. Non ci resta che sperare e immaginare di nuovo un’Olimpiade a cinque anni da Rio de Janeiro.

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