
Seduta sulla scrivania di Che Tempo Che Fa, tenendo tra le mani la consueta letterina da leggere con piglio e quel pizzico di serietà che non guasta, Luciana Littizzetto punta un riflettore dalla luce accecante su una questione tanto importante quanto troppo spesso sottovalutata, ridimensionata: il rispetto delle fragilità altrui, ma soprattutto la cura della nostra salute mentale, di quello che abbiamo dentro e che, spesse volte, reprimiamo per non farlo strabordare da quei confini, effimeri, che ci siamo imposti. Se quelle linee, disegnate a fatica, delimitano poi l'immagine di un personaggio pubblico, allora emerge un altro problema che chiaramente sta sfuggendo di mano: la noncuranza con cui, spesso, si commenta, si giudica, si impartiscono lezioni di decenza, dall'alto dei nostri scranni virtuali, dove tutti si sentono giudici e mai colpevoli.
È facile giudicare col telefono in mano, scrollando per inerzia, è facile farlo senza conoscere l'altro, è facile esprimere giudizi superflui, come è facile sentirsi traditi, indignati quando il simulacro che ci eravamo costruiti di quel determinato artista si sgretola in mille pezzi. Basta un gesto, un'immagine meno professionale del solito, un'espressione poco conforme alla maschera perfetta indossata in pubblico, ma graffiata nel privato, che i più sono pronti ad alzare il dito a mo' di bacchetta per sentenziare su quello o l'altro comportamento sgradito. Da quando siamo diventati così esigenti, ma soprattutto davvero siamo diventati così aridi dal non riuscire ad empatizzare con le difficoltà altrui?
Nella sua letterina, Luciana Littizzetto parla di quanto è accaduto a Belén, durante un'intervista nella quale è apparsa meno brillante e spavalda del solito, e che ha suscitato un certo sconcerto, tanto da portare la showgirl a dover giustificare il suo stato, a dover spiegare di aver avuto un attacco di panico, di aver preso dei tranquillanti perché aveva un impegno da dover rispettare e senza quei farmaci, probabilmente, non ce l'avrebbe fatta. Quanto è inumano questo accanimento nei confronti di un altro individuo? Quanto è contro ogni principio di comprensione, di accoglienza, quanto è assurdo che "un attacco di panico faccia ancora notizia" sottolinea Littizzetto.
Fa notizia perché la fragilità non è ancora accettata, sebbene se ne parli, sebbene in questi anni si sia sdoganata la cultura della salute mentale, del benessere psicologico, nonostante tante e tante parole siano state spese nelle più svariate occasioni per abbattere quello stigma che non permetteva – e forse ancora non permette- di chiedere aiuto, di accogliere le proprie difficoltà. Banalmente di conoscersi. Non siamo perfetti, non potremmo esserlo, siamo fallibili, siamo sfaccettati, abbiamo dei lati oscuri, parti di noi che non conosciamo nemmeno e che chiedono di essere ascoltate.
Eppure si fa ancora fatica quando quelle stesse parti escono allo scoperto, le si guarda con ritrosia, non capiamo come sia possibile che qualcuno possa mostrarle con così tanta facilità. Figuriamoci quando quel qualcuno è un personaggio pubblico. Ed è qui l'errore, non è facile, non lo è mai, ma se in una società in cui siamo iperconnessi, in cui abbiamo l'opportunità di raccontarci, di condividere, di fare rete, c'è ancora chi da uno studio televisivo deve sottolineare che "i problemi psicologici non sono problemi di serie b", allora significa che c'è ancora molto su cui lavorare, c'è ancora molto di cui parlare, su cui confrontarsi.
Ci voleva la letterina di Luciana Littizzetto per dire, ancora una volta, l'ennesima e quanto più chiaramente possibile, che la salute mentale non è da prendere sottogamba, che stare bene -dentro- è il presupposto fondamentale per stare bene anche fuori.