Roberta Bellesini racconta i 14 anni vissuti con Giorgio Faletti: “Ebbi la sua vita tra le mani”

"Dove mi avete ricoverato, a Las Vegas?". Erano passate solo 24 ore da quando Giorgio Faletti era stato trovato a terra, in coma, vittima di un ictus devastante. Lui, appena risvegliato, ancora incapace di parlare bene, trovava il modo di scherzare. "Spero di non diventare un ex attore", farfugliò attaccato ai macchinari che lo tenevano in vita. Questa è una parte del lungo racconto che Roberta Bellesini, moglie dell'attore e scrittore scomparso nel 2014, ha fatto in una lunga intervista al Corriere della sera.
Il racconto del primo incontro a 15 anni
La prima volta che vide Giorgio Faletti, Roberta Bellesini aveva 15 anni e stava chiacchierando con gli amici davanti al bar Cocchi di Asti. Un rombo improvviso, una Ferrari rossa che si ferma a pochi metri, e lui che scende accompagnato da una modella con "le gambe lunghe otto metri". La reazione immediata fu scontata: "Pensai: però, che sborone".
Il primo episodio poteva restare un aneddoto da raccontare agli amici. Invece il destino insistette, con una precisione quasi cinematografica. La casa di campagna dove Roberta viveva da bambina con i nonni venne comprata proprio dai genitori di Faletti. Lui si era ricavato un appartamento nella mansarda, ci passava quando tornava da Milano. "E Asti non è poi così piccola", sottolinea Roberta, oggi 53enne.
La vera prima volta nel 2000
L'incontro vero arrivò la sera del 2 luglio 2000, a casa di amici, davanti a Francia-Italia, finale degli Europei di calcio, e a un piatto di spaghetti al pomodoro. "Mi colpirono i suoi occhi grigio-azzurri, limpidi, ti sembrava davvero di leggerci dentro", ricorda. Cominciarono a frequentarsi sul serio. Roberta aveva dubbi legittimi. Lui era un personaggio famoso, vent'anni più grande. Sua madre, preoccupata, le disse: "Fossi in te ci andrei con i piedi di piombo". E così fece. "Dopo qualche mese Giorgio mi chiese: ‘Che devo fare ancora per corteggiarti?'. In effetti si capiva che il suo interesse per me era serio, mi aveva pure portato a conoscere sua madre. Gli sfizi se li era già tolti. E ho capitolato".
La differenza d'età non era l'unico dettaglio particolare: Roberta era anche più alta di 9 centimetri. A Faletti non dispiaceva, aveva avuto fidanzate modelle. Solo quando lei indossava i tacchi per qualche serata, la sfotteva: "Mamma, mi hai messo la merenda nella cartella?".
L'ictus e i dieci minuti per decidere se salvarlo
Il 6 novembre 2002 avrebbe dovuto essere un giorno di festa. Alle 18, alla Mondadori di via Marghera a Milano, c'era la presentazione ufficiale di Io uccido, il primo romanzo di Faletti. Quella mattina era uscita alle 7 per visitare un cantiere. Giorgio era solo in casa. Quando rientrò a mezzogiorno, lo trovò per terra. Già in coma. Dall'ultima chiamata sul cellulare, alle 10.05, ricostruì a che ora più o meno si era sentito male. Un dettaglio che si rivelò fondamentale.
I medici del Niguarda le proposero un farmaco "effetto sturalavandino", come lo definisce lei. Ma andava somministrato prima possibile, altrimenti, con il coagulo indurito, si rischiava di rompere l'arteria e provocare un'emorragia cerebrale. "Mi diedero pochi minuti per scegliere. Avevo la sua vita tra le mie mani". Il farmaco funzionò. Dopo 24 ore cominciarono a risvegliarlo. Faletti non riusciva a parlare bene. Le prime parole furono: "Spero di non diventare un ex attore". Era attaccato alle macchine che facevano il tipico bip-bip. "Dove mi avete ricoverato, a Las Vegas?", scherzò.
Il tumore al polmone
Faletti restò in ospedale fino a dicembre. A febbraio 2003 ebbe un altro piccolo episodio. Di nuovo ricoverato. "Basta, sposiamoci", disse. Roberta scherzò: "Sei imbottito di farmaci, richiedimelo più in là, non vorrei che mi accusassero di circonvenzione di incapace". Tornati a casa, dopo dieci giorni trovò l'anello sul comodino. Era fine marzo. Ad agosto si sposarono all'Isola d'Elba, il luogo del cuore di Giorgio. Solo loro e qualche amico. Alla famiglia lo dissero la sera.
Durante una risonanza di controllo per un'ernia del disco, scoprirono poi le metastasi di un tumore al polmone. Partirono per Los Angeles, da un medico russo di cui Giorgio si fidava. Terapie avanzate, case in affitto che cambiavano ogni mese tra Venice, Santa Monica e Hollywood. "Non era arrabbiato con la vita. E nemmeno triste. Nonostante tutto è stato un bel periodo", racconta Roberta. Quando le cure smisero di funzionare, rientrarono ad Asti finché Giorgio fu in grado di viaggiare. Fino all'ultimo lavorò su una canzone. Morì il 4 luglio 2014, a 63 anni.