
Eccolo qui, l’ennesimo addio che ci strappa un pezzo di gioventù. Michael Madsen se n’è andato, e con lui è morta una parte di quella generazione che cresceva sognando di essere cattivi come lui, con quella faccia da schiaffi e quel sorriso storto che ti faceva capire che il mondo non era fatto di buoni sentimenti.
Non parliamo di un attore qualunque. Parliamo di uno che ha incarnato un immaginario come pochi riescono a fare. Mr. Blonde in “Le Iene” che tortura un poliziotto sulle note di “Stuck in the Middle with You” non era solo cinema, era poesia nera. Era la rappresentazione perfetta di quella violenza elegante, quasi danzata (per inciso: parliamo della tortura di un poliziotto, pensate oggi cosa potrebbe succedere), che solo Tarantino sapeva filmare e solo Madsen poteva interpretare.
Ma il capolavoro è arrivato dopo, con Budd in “Kill Bill”. Quel guardiano di strip club sfigato, alcolizzato, che viveva in una roulotte di merda e si trascinava dietro i fantasmi di quando era qualcuno. Un samurai caduto in disgrazia che vendeva spade leggendarie per quattro soldi. Era l’America che invecchiava male, che si guardava allo specchio e non si riconosceva più. Troppo facile fare i paralleli con l’America di Trump. Ogni generazione, a un certo punto, invecchia. E può farlo solo male.
Madsen incarnava il disincanto meglio di chiunque altro. Non aveva bisogno di grandi discorsi, bastava il modo in cui accendeva una sigaretta o beveva una birra per raccontare tutto il peso di una vita vissuta male. Era l’antieroe perfetto per una generazione che stava scoprendo che i sogni americani erano fatti di cartapesta.
Quando un uomo così se ne va, e tu lo hai amato (o persino provato a imitare) quando avevi sedici, diciotto, vent’anni, va via anche una parte di te. Quella parte che credeva ancora che si potesse essere duri senza essere stupidi, cattivi senza essere volgari, perdenti senza essere patetici.
Quando se ne va uno che ha davvero segnato un’epoca, uno che ti ha insegnato che anche i cattivi possono avere stile – e parliamo di cinema, non di vita vera – fa davvero male. Addio Michael. Sei stato l’ultimo cowboy di un’America che non esiste più. Spero possano esserci nuovi cowboy nel cinema che sappiano incarnare certe contraddizioni come hai fatto tu. Ho i miei legittimi dubbi. Noi (io), quelli che ti hanno amato, restiamo qui con i nostri quarant’anni addosso a chiederci dove diavolo è finito quel mondo in cui un uomo poteva ancora dissipare se stesso con eleganza.
