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Voto ai sedicenni, quattro motivi per farne volentieri a meno

Marketing politico. Ecco cos’è la proposta di Enrico Letta, rilanciata da Di Maio, sul voto ai sedicenni: un modo per erodere consenso alla Lega, ampliando la base elettorale a un fronte che si suppone progressista. Peccato che i 16-17 siano troppo pochi per contare. Che non siano tutti di sinistra come si crede, anzi. E che per aiutare i più giovani, anziché dargli il voto, bisognerebbe regalar loro (e alla scuola) un po’ di risorse in più.
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L’ha proposto Enrico Letta, trovando l’accordo di Di Maio, di Zingaretti, persino del presidente del consiglio Giuseppe Conte: insomma, mai come oggi il voto ai sedicenni sembra essere una prospettiva concreta, ciliegina sulla torta – anzi, meglio: tocco magico di marketing – di una nuova legge elettorale proporzionale che sterilizzi il referendum leghista pro-maggioritario.

Il tempismo è perfetto, insomma. Anche perché le manifestazioni dello sciopero generale per la Terra, ispirati dalla sedicenne Greta Thunberg raccontano di giovani generazioni sempre più consapevoli, con un’agenda politica molto diversa da quella dei loro genitori, in grado di orientare il dibattito politico fuori dalle secche della sacra triade sicurezza-tasse-pensioni, stella polare del voto adulto e over 65.

Tutto bello e giusto, insomma, e pure molto progressista. Se non fosse che la realtà, molto spesso è diversa da come ce la immaginiamo, o da come speriamo che sia. E ci sono almeno quattro buoni argomenti per pensare che il voto ai sedicenni non sia che una foglia di fico, o un maldestro tentativo di erodere consensi alla Lega, offrendo il diritto di voto a un pezzo di popolazione che, si pensa, voti a sinistra. Soprattutto, che sia un tentativo che si rivelerà un buco nell’acqua, se non addirittura un boomerang, per chi lo propone.

Primo: i 16-17enni sono pochi, circa 1,4 milioni, il 2% circa della popolazione italiana. A meno non votino tutti per lo stesso partito, non sarebbero minimamente in grado di incidere sul dibattito politico. Per dire, i residenti all’estero iscritti nelle liste elettorali sono circa 4 milioni, e non pare condizionino granché l’agenda politica, pur votando in modo piuttosto diverso rispetto al resto dell’elettorato italiano. Per dire: alle ultime politiche il 26% aveva votato Pd (9 punti in più rispetto al risultato effettivamente raggiunto) e solo il 21% aveva votato centrodestra.

Secondo: non cambierà nulla. Ammettiamo pure che i sedicenni vadano a votare in massa. Siete sicuri che il loro voto si discosterebbe così tanto da quello dei loro genitori? Secondo il sociologo Ilvo Diamanti, assolutamente no: «Sicuramente nel bilancio del marketing elettorale il segmento dei giovani aumenterebbe il suo peso», ha ammesso in un intervista a Repubblica di tre anni fa. Tuttavia, ammoniva anche, «i giovani italiani sono pochi e sbiaditi, non sono un soggetto politico come lo erano fino a qualche decennio fa, non sono più capaci di imporre alcuna questione nel discorso pubblico». Non solo, continua Diamanti: poiché il loro sogno è andarsene e il loro welfare si chiama famiglia, visto che i soldi, l’Italia, continua a darne a nonni e a dimenticarsi dei nipoti, tenderanno a replicare le scelte di voto dei propri parenti più anziani. Paradossalmente, gli è più utile che la pensione del nonno non venga toccata.

Terzo: non voteranno come credete voi. Scambiare l’acquario con l’oceano è una tendenza pericolosa, a sinistra. Se pensiate che i giovani siano tutti ambientalisti e progressisti, forse vi state sbagliando: “Ho 18 anni, sono neofascista e voto Matteo Salvini“, titolava un’inchiesta de L’Espresso dello scorso 26 marzo, che racconta della saldatura tra le sigle studentesche neofasciste e la Lega. Sigle neofasciste che, per inciso, realizzano risultati elettorali importanti, molto più di quelle “per adulti”. E che stanno crescendo, molto più di quelle di sinistra. Ah, dimenticavamo: alle ultime europee i 18enni hanno votato in massa per Salvini. 

Quarto, infine: perché di marketing e di simbologie politiche, francamente, non se ne può più. Volete fare qualcosa per i giovani? Abolite quel furto generazionale chiamato Quota 100, portate i fondi per l’istruzione e la ricerca sopra il 5% del Pil come in tutti i Paesi civili, costruite fondi che aiutino davvero i ragazzi a diventare indipendenti dai loro genitori, garantendogli di uscire di casa prima possibile. Fate quel che fanno in tutti i quei Paesi europei come la Francia, la Germania, Il Regno Unito che magari non fanno votare i sedicenni, ma dei giovani si occupano sul serio. E infatti è lì che i nostri giovani scappano a gambe levate, appena possono.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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