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Trump o Borsellino poco cambia: la propaganda di Salvini non si ferma davanti a nulla

Ha fatto discutere il gesto di Matteo Salvini in via D’Amelio a Palermo, dove ha indossato una mascherina su cui era visibile il volto del magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia. Il Salvini che rivendica con orgoglio la scelta di quella mascherina è lo stesso che nemmeno in quel luogo simbolo è riuscito a indicare Donald Trump come corresponsabile delle violenze a Capitol Hill.
A cura di Annalisa Cangemi
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Siamo abituati ormai alle felpe, alle magliette, alle divise che Matteo Salvini utilizza per veicolare messaggi in modo diretto e per rendere chiaro in modo inequivocabile da che parte sta o per chi tifa. La novità che quasi un anno di pandemia ci ha regalato è rappresentata dalle mascherine ‘brandizzate’. Potevano mai mancare nell’arsenale comunicativo del segretario della Lega?

"La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità". Sono queste le parole che si potevano leggere sulla mascherina con il volto del giudice Paolo Borsellino, esibita da Salvini in via D’Amelio a Palermo, luogo in cui il 19 luglio del 1992 furono uccisi dalla mafia il magistrato insieme a cinque uomini della scorta.

La scelta del dispositivo di protezione, su cui era stampata la foto di uno dei protagonisti del Pool antimafia istituito da Rocco Chinnici, è diventata un caso. Tanto che il fratello di Borsellino, Salvatore, è stato costretto prima a condannarne “l’uso strumentale”, e poi a proporre l’istituzione di una ‘scorta’ civica, un presidio organizzato in quel luogo impresso nella memoria collettiva di un Paese, per proteggerlo da chi, come Salvini, lo trasforma in una “passerella” a fini di propaganda. E così l’omaggio floreale che il leader della Lega ha voluto portare lì dove è stato piantato un albero, per volere della defunta mamma di Borsellino, è stato bollato come l’ennesimo episodio di “sciacallaggio”.

Ora, se c’è una cosa che Salvini sa fare per bene è confondere le acque. E infatti anche questa volta ha risposto non solo eludendo gli attacchi, ma fingendo anche di rispondere nel merito, utilizzando il solito escamotage del vittimismo: “La lotta antimafia dovrebbe unire tutti. Se qualcuno riesce a fare polemica anche su una figura eroica come quella di Paolo Borsellino e sulla lotta alla mafia vuol dire che è fuori dalla storia”. È arrivata poco dopo in soccorso anche una nota di un’europarlamentare della Lega, Francesca Donato: “La lotta alla mafia è un valore che accomuna tutti i cittadini onesti, in Sicilia e in Italia, e che appartiene a tutte le parti politiche, non ha colori”.

Come si vede qui la questione viene spostata su un piano diverso. Nessuno sta dicendo in realtà che la lotta alla mafia debba essere appannaggio esclusivo della sinistra. Sarebbe anche paradossale, visto che lo stesso giudice palermitano era considerato un uomo di destra. Indossare quella mascherina è profondamente offensivo per altri motivi. Il tempismo è la chiave di questo scivolone da parte del Carroccio.

Salvini nell'aula bunker del maxiprocesso

L’occasione per cui Matteo Salvini si trova a Palermo non è irrilevante: ieri si è svolta infatti l’udienza preliminare della vicenda Open Arms, per cui è accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio. L’udienza si è tenuta nell’aula bunker del carcere Ucciardone, la stessa dove venne celebrato il primo maxiprocesso alla mafia, in cui i giudici istruttori furono proprio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Insomma la circostanza per cui Salvini si trovava a Palermo non è di poco conto. L’urgenza di deporre proprio venerdì un mazzo di fiori sotto l'albero in via D’Amelio è quantomeno sospetta. Quel giorno era l’anniversario della morte del giornalista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia 28 anni fa a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Ma l’8 gennaio non è legato in modo particolare alla memoria di Borsellino più di altri giorni sul calendario. È lecito dunque chiedersi se la visita di Salvini in via D’Amelio non sia altro che un modo per farsi scudo con l’immagine del magistrato, auto affibbiandosi la spilla dell’antimafia: “Qualcuno chiacchiera e insulta, mentre io ho fatto il ministro dell'Interno e sono stato orgoglioso di aver combattuto la mafia potenziando l'agenzia per confiscare i beni dei boss, ho abbattuto ville abusive, ho promosso sgomberi, ho assunto forze dell'ordine, ho organizzato i comitati nazionali per la sicurezza a San Luca e Castel Volturno. Agli altri lascio le parole", dirà poi Salvini il giorno dopo, tornando a indossare la mascherina tanto contestata al termine dell'udienza preliminare del processo Open Arms, processo in cui tra le altre cose il Comune si è costituito parte civile.

Salvini paladino della legalità non condanna Trump

Ma c’è ancora un terzo punto da sottolineare. Il gesto di Salvini è inopportuno anche per un’altra ragione. E anche in questo caso il timing gioca a sfavore del nostro. Durante la campagna per le presidenziali americane Matteo Salvini ha sfoggiato una mascherina sui cui era impressa l’immagine di Trump.

Nemmeno dopo l’assalto a Capitol Hill, avvenuto il 6 gennaio, due giorni prima della ‘photo opportunity’, Matteo Salvini ha ammesso il nesso tra le violenze e le responsabilità del Tycoon. Anzi, interpellato proprio su questo dai giornalisti in via D’Amelio si è limitato a condannare le “scene incredibili e imbarazzanti” al Campidoglio, “che rischiano di rovinare una presidenza positiva”. Ma ha evitato di rispondere alla domanda sul comizio che il presidente uscente aveva tenuto poco prima, aizzando la folla: “Fatemi parlare dell’Italia”, ha tagliato corto. Ma non si può fare come Dottor Jekyll e Mister Hyde: non si può rivendicare la scelta di portare la mascherina di Borsellino, presentandosi come paladini di valori come la legalità e la libertà, e nello stesso tempo ritenere lecito indossare la mascherina di Trump, rimanendo morbidi con chi ha continuato a dire “vi voglio bene” ai suoi sostenitori, che hanno messo in subbuglio la casa della Democrazia americana, con cinque morti sulla coscienza.

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Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
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