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Scudo fiscale contro il caro energia: come funziona la misura che potrebbe essere in manovra

Lo scudo fiscale, o sanatoria, per i capitali esteri è una delle novità che il governo Meloni starebbe valutando per la legge di bilancio. Negli ultimi 20 anni è stato applicato diverse volte, anche se con delle differenze importanti. Il governo vorrebbe ricavare 3-5 miliardi di euro per le misure contro il caro energia del prossimo anno.
A cura di Luca Pons
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Nella legge di bilancio, che dovrebbe essere discussa lunedì dal Consiglio dei ministri, è possibile che si inserirà una forma di sanatoria dei capitali all'estero. L'obiettivo sarebbe spingere chi possiede delle somme di denaro irregolari fuori dall'Italia a riportarle nel Paese, pagando solo una parte di quanto deve tra tasse arretrate e multe.

La misura dovrebbe portare alle casse dello Stato circa 3-5 miliardi di euro, secondo le prime stime. Questi andrebbero poi a finanziare soprattutto le varie iniziative che il governo intende portare avanti contro il caro energia.

Cos'è lo scudo fiscale per i capitali esteri e come funziona

Sanatoria sui capitali esteri, scudo fiscale, voluntary disclosure. Sono molti i nomi usati per indicare, a grandi linee, la stessa cosa: un'agevolazione di qualche tipo per chi ha commesso degli illeciti, in questo caso per chi ha capitali irregolarmente depositati all'estero.  Il modello a cui si starebbe ispirando il governo Meloni è quello del governo Renzi, con la sua voluntary disclosure (cioè "dichiarazione volontaria") del 2014. In quel caso, ci si poteva rivolgere volontariamente all'Agenzia delle entrate per dichiarare di avere dei fondi depositati all'estero irregolarmente, spiegare come si era creato quel nero, e poi pagare le tasse arretrate.

Quando si chiede di dichiarare capitali in nero e recuperare le tasse non pagate, serve un incentivo che spinga farlo. Nel caso del governo Renzi, il compromesso deciso dal ministro Pier Carlo Padoan fu questo: chi dichiarava di avere dei capitali irregolari, doveva pagare interamente le imposte arretrate dei precedenti cinque anni, ma in cambio riceveva forti sconti sugli interessi e sulle multe, e non poteva essere punito per i reati connessi all'evasione fiscale.

Invece, nei casi precedenti la cosa era stata gestita in modo diverso. Negli scudi fiscali per i capitali all'estero varati nel 2001, nel 2002 e nel 2009 da Giulio Tremonti nei governi Berlusconi, chi dichiarava la propria posizione pagava una multa fissa, pari al massimo al 5% delle tasse arretrate, e automaticamente era in regola.

L'operazione del governo Renzi, messa in atto dal 2015 al 2017, fece emergere circa 60 miliardi di euro in capitali esteri, tra attività finanziarie e immobiliari, non precedentemente dichiarati. Circa un quarto di queste attività (circa 15 miliardi di euro) rientrò in Italia. Le entrate per lo Stato furono attorno ai 4 miliardi di euro nel 2015.

Come funzionerebbe lo scudo fiscale del governo Meloni

Il nuovo scudo fiscale si rivolgerebbe soprattutto a capitali accumulati all'estero negli ultimi anni, grazie a fatture ridotte irregolarmente nelle esportazioni o evasione fiscale. Considerando il pagamento di Irpef, Ires e Iva arretrati, in questo caso gli arretrati potrebbero arrivare a essere anche più della metà del fondo totale. Anche in questo caso, quindi, servirà un incentivo: una riduzione di qualche tipo sulle spese da sostenere tra tasse, interessi e multe.

Il governo Meloni non si è ancora espresso su come vuole convincere i detentori di capitali all'estero ad autosegnalarsi e sistemare la posizione con il fisco. Il ministero dell'Economia, in una nota recente, ha detto però che la misura è "in fase di valutazione politica", ma che "in ogni caso" non ci sarà "nessun condono di carattere penale".

Si può escludere, quindi, che l'esempio del governo Renzi sarà seguito su questo: in quel caso, per chi dichiarava volontariamente i propri capitali esteri, non si poteva punire il reato di autoriciclaggio, che normalmente si applica a chi sposta all'estero i beni che vengono dalla frode fiscale.

Una novità che il governo sembra intenzionato a inserire è di applicare lo scudo fiscale anche alle criptovalute. Le monete virtuali, per l'Agenzia delle entrate, sono considerate tali e quali a valute estere, quindi i profitti fatti vendendole sono tassati al 26%.

Non è stato ancora delineato il modo in cui si intende intervenire su questa forma di capitali digitali, che sono particolarmente complicati da regolamentare. Lunedì, dopo la riunione del Consiglio dei ministri che è stata annunciata da diversi esponenti del governo, potrebbe esserci più chiarezza anche su questo.

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