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Opinioni
Elezioni politiche 2022

Perché nessun partito ha il coraggio di parlare seriamente della pandemia in campagna elettorale

Oltre 170mila morti, milioni di contagi e un sistema sanitario devastato: è semplicemente incredibile che la Covid-19 non sia al centro di questa campagna elettorale. Ed è un errore clamoroso lasciare che se ne occupino solo no vax e ciarlatani vari, spargendo disinformazione e sfiducia. Servirebbe maggiore coraggio dei partiti e anche che qualcuno facesse una seria autocritica su come è stata gestita finora la pandemia.
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Elezioni politiche 2022

Stiamo uscendo a fatica una nuova ondata di contagi Covid-19, c’è una nuova variante del coronavirus piuttosto preoccupante, non sappiamo ancora in che modo gestire la nuova campagna vaccinale, si discute ancora delle misure di prevenzione con il classico derby fra rigoristi e aperturisti, mentre dagli Stati Uniti anticipano linee che prima o dopo ci toccherà adottare. È ormai un loop continuo, lo stesso identico copione che si ripete a intervalli più o meno regolari. La nuova normalità, insomma, è quella delle ondate successive, triste risultato di una gestione che potremmo definire nel migliore dei casi superficiale. Il problema è che, per quanto i governi occidentali si siano impegnati nell’agire come se la pandemia fosse finita, i fatti sono resistenti e ostinati.

Qualche mese fa, il direttore regionale per l’Europa dell’sms Hans Kluge stigmatizzava la rapidità con cui i governi avevano archiviato il contrasto alla pandemia, eliminando le ultime restrizioni in “maniera brutale, passando da troppo a troppo poco”. Come vi abbiamo spiegato qui e qui, non si è mai trattato di un errore di valutazione, ma di un approccio ben ponderato: considerare finita la pandemia come emergenza di salute pubblica, affidarsi unicamente ai vaccini, sperare che una sorta di immunità ibrida garantisse una copertura sufficiente a evitare il sovraccarico dei servizi sanitari, valutare le morti come inevitabili. Questa gigantesca opera di rimozione del problema è stata possibile anche grazie all'incapacità (diciamo così) di ragionare su dati precisi e puntuali.

È assolutamente sbalorditivo il modo in cui abbiamo gestito questa pandemia, a partire dalla nostra incapacità di monitorare ciò che è accaduto. Non sarebbe dovuto accadere nel ventunesimo secolo”. Così l’epidemiologo Prabhat Jha denunciava l’incredibile sottostima del numero dei morti causati dalla Covid-19 in tutto il mondo (qui il report del New York Times in cui si parla di 15 milioni di morti in eccesso, contro i 6 ufficialmente attribuiti alla pandemia), spiegando come si tratti di un fatto che riflette sia l’incapacità di molti Stati di dotarsi di strumenti efficaci per la raccolta dei dati, sia chiare strategie di oscurare il peso della pandemia da parte di alcuni governi. La dice lunga il fatto che in alcuni Paesi, il nostro compreso, si continui a mettere in dubbio finanche il numero ufficiale e sottostimato dei decessi.

La pandemia che non c'è più, almeno in campagna elettorale

A luglio 2022 in Italia abbiamo avuto circa mille decessi a settimana, un dato considerevolmente più alto rispetto allo stesso periodo del 2021 e del 2020; l’ondata che sta lentamente scemando ha raggiunto picchi di oltre 100mila casi al giorno accertati (è praticamente impossibile fare una stima dei contagi reali); gli attualmente positivi sono circa un milione. In piena estate, insomma, milioni di italiani hanno dovuto fare i conti con la pandemia, direttamente o indirettamente. Per una volta, poi, anche gli esperti concordano sulle previsioni per la stagione autunnale: è alto il rischio di un’ondata ancora più grave delle precedenti, preoccupano la nuova variante BA.2.75 (ufficiosamente chiamata Centaurus), il calo dell’efficacia vaccinale e le difficoltà della campagna per la quarta dose tra fragili e anziani.

Certo, il contesto è diverso e ci sono molte ragioni per le quali sarebbe scorretto considerare questo scenario come puramente emergenziale. È abbastanza evidente, però, che qualcosa stia andando storto nel raggiungimento dell'obiettivo "vivere con la Covid-19". Per quello che sono stati gli ultimi anni, per l'impatto che la pandemia ha avuto sulla popolazione e per il peso che ha ancora nella quotidianità di ognuno di noi, è surreale che la questione non sia al centro del dibattito elettorale. È un tema dirimente, che va oltre la gestione emergenziale della lotta al virus e richiederebbe un confronto serrato sulle scelte da prendere, sulle decisioni che potenzialmente potrebbero cambiare il destino dei prossimi anni.

La prima questione è capire perché non stiamo riuscendo a bloccare né minimamente contenere la nascita di grandi ondate di infezione, che poi determinano morti e ospedalizzazioni. È un dato comune ad altri Paesi, certo, ma l’Italia è sempre fra quelli che pagano il prezzo più alto. Thomas Pueyo, in uno dei primi saggi sulla pandemia, parlava di “The hammer and the dance”, distinguendo la fase di convivenza da quella in cui si renderebbero necessari drastici interventi di contenimento. Ecco, in questa campagna elettorale non solo è un tabù parlare di misure restrittive, ma non si riesce a capire neanche quali siano le proposte dei partiti per quel che concerne il ballo della nuova normalità.

Eppure sarebbe il caso di interessarsene. L’ultima ondata, per esempio, ha fatto registrare un numero inferiore di ingressi in terapia intensiva, ma ha ugualmente messo sotto stress i servizi sanitari, per la mole elevata di ricoveri o richieste di intervento. La Long Covid è un ulteriore carico su un sistema che rischia di non essere in grado di fornire l’assistenza ordinaria nei momenti di maggiore pressione: parliamo di migliaia di interventi rinviati, di esami diagnostici non effettuati e di una generale propensione a rinviare cure e controlli da parte di cittadini. Non in subordine, dovremmo parlare anche del calo delle performance dei lavoratori del comparto sanitario, esausti dopo anni di lavoro massacrante ed esposti al contagio in misura maggiore (con tutto ciò che comporta anche in termini di servizi). Ripensare completamente un sistema sanitario che aveva già mostrato lacune inquietanti nelle prime fasi della pandemia dovrebbe essere una priorità assoluta, ma serve una visione complessiva di società, un’idea di cura che manca in ogni programma o proposito elettorale. Non può bastare il generico richiamo ai fondi del Pnrr che fanno alcune forze politiche, né appaiono sufficienti le modifiche ipotizzate dal ministro Speranza (che ha gestito la pandemia finora, non sempre con efficacia e linearità), per quanto almeno rimandino a un organico piano organico di ripensamento del sistema di cura e sostegno ai cittadini.

Il punto è che non sembra esserci il coraggio di fare i conti con cosa è stata la pandemia, o meglio è ancora, e su come abbia cambiato le nostre vite.

Un esempio esaustivo è rappresentato dal programma del centrodestra, ampiamente favorito per la vittoria il 25 settembre. La più grande emergenza pubblica della storia recente, che ha determinato solo in Italia almeno 170mila morti, merita un trafiletto al punto 7: “Contrasto alla pandemia da Covid-19 attraverso la promozione di comportamenti virtuosi e adeguamenti strutturali – come la ventilazione meccanica controllata e il potenziamento dei trasporti – senza compressione delle libertà individuali”. Questo è tutto, che se la sbrigassero i cittadini. Del resto, solo qualche settimana fa, i leghisti ci invitavano a non "fare i menagramo" sul futuro, assicurandoci che avrebbero mandato a quel paese il coronavirus se si fosse ripresentato.

Vaccini, restrizioni, scuola: nessuno va oltre gli slogan

Ci sarebbe tanto altro di cui parlare, non si può pensare di considerare la pandemia solo come un’emergenza di carattere sanitario. Un approccio di questo tipo ci costringe a inseguire le ondate, a fare i conti di volta in volta con le nuove varianti e via discorrendo. E se alcune questioni vanno senza dubbio affrontate a livello globale (l’approvazione dei nuovi vaccini su tutte), le scelte strategiche dovrebbero essere ben chiare agli elettori. Ci sono differenze di approccio tra le varie coalizioni, ad esempio per quel che concerne la quarta dose, ma anche impostazioni diverse sull’impostazione della campagna vaccinale (presente, passata e futura), che è giusto che emergano in sede di presentazione agli elettori. Perché c’è differenza fra chi chiede commissioni d’inchiesta sugli effetti avversi dei vaccini (i dati ovviamente li conosciamo e dicono altro) e chi da mesi insiste nel dire che per uscire dalla pandemia basta solo vaccinare chi è a rischio (sbagliando, peraltro); ci sono leader e candidati che, con dichiarazioni improvvide e avventate, hanno contribuito a minare la fiducia nelle istituzioni e nella scienza: sarebbe il caso di sapere se abbiano cambiato idea o meno. Lasciare che la riflessione sulla pandemia sia portata in campagna elettorale solo dai no-vax, dai no greenpass o da ciarlatani di varia natura, è la peggiore delle scelte possibili.

Non solo. Una delle prime sfide che dovrà affrontare il nuovo governo sarà quella delle scuole, a meno che non intenda poggiarsi sul protocollo del governo in carica (zero interventi su aerazione e ampliamento degli spazi, confusione su mascherine). Ancora una volta il Paese arriverà impreparato al nuovo anno scolastico, senza un piano che si sappia andare oltre l’emergenza e la speranza che le cose vadano diversamente dal passato. Non c’è mai stato un serio lavoro sugli spazi scolastici, mai investimenti sul ricambio di aria meccanico (aprite le finestre, ci si limita a dire), ogni ragionamento sul potenziamento della didattica a distanza è naufragato tra lo sdegno dell’opinione pubblica, il “potenziamento dei mezzi di trasporto” è lo slogan più vuoto di sempre e lo sentiamo dall'estate del 2020. Tutto si è ridotto alla questione delle mascherine in classe, che la stragrande maggioranza della comunità scientifica considera fondamentale in presenza di elevata circolazione del virus, e che ovviamente in Italia è avversata come non mai.

È una situazione surreale: tutti siamo d'accordo sul fatto che la scuola debba essere una priorità, tutti siamo convinti della necessità di garantire che i bambini e i ragazzi possano usufruire di spazi sicuri e accoglienti, ma non siamo disposti a fare sacrifici o a impegnare risorse perché questo avvenga. Anzi, applaudiamo a proposte che poi si rivelano controproducenti, come nel caso del balletto sugli isolamenti e la chiusura delle classi in seguito all'accertamento dei casi di positività: beh, sorpresa, dove non ci sono più misure di questo tipo, il problema dei giorni di scuola persi da alunni e insegnanti non si è affatto risolto, anzi.

Si potrebbe continuare a lungo, magari parlando di smart working o di test&tracing, componenti essenziali della lotta alla diffusione del virus di cui ci siamo dimenticati troppo in fretta, magari sotto le pressioni delle imprese o per scelta di qualche ministro del governo dei migliori. Il punto è che, al netto della responsabilità di ognuno di noi, era lecito aspettarsi altro dalla nostra classe politica. Non è solo stata deludente la gestione della pandemia, ma anche la capacità di risposta alle enormi sfide che essa ha posto. Nemmeno di fronte alla gigantesca compressione delle libertà individuali che è stata operata in questi anni si è riusciti a elaborare un pensiero più profondo dello slogan "mai più restrizioni". Che non può bastare a risolvere l'enorme problematica posta dalla necessità di trovare un bilanciamento fra salute pubblica e diritti delle persone, regolato da strumenti vecchi, inadeguati, che hanno rischiato di incrinare quel patto di fiducia fra istituzioni e cittadini che è alla base dei meccanismi democratici del nostro Paese. Nulla, ogni riflessione profonda o di lungo corso viene espunta sistematicamente dal dibattito pubblico.

Un errore anche strategico. Parlare di pandemia può essere divisivo, può aprire ferite e cambiare l'umore delle persone. Ma chi si candida a ruoli di rappresentanza ha un dovere, diremmo anche un debito nei confronti dei cittadini.

Ci siamo ritrovati come comunità solo per un breve periodo, abbiamo pensato che potessimo uscirne solo insieme, che potesse essere la volta buona per ripensare il vivere collettivo.  Poi ci siamo persi, abbiamo perso la speranza e sono subentrate disillusione, rabbia e tanta confusione. Ci siamo convinti che bastasse non parlare di un problema per farlo scomparire, e così abbiamo vissuto per mesi, lasciando che i bollettini quotidiani scendessero di posizione sulle pagine dei giornali, fino a essere relegati a trafiletti. Ci siamo assuefatti al peggio. Ci siamo guardati intorno e non abbiamo visto che leader confusi e impreparati, quando non cinici e senza scrupoli. Sarebbe il caso di cominciare a pretendere di più.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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