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Crisi di Governo 2022

Perché la fine di Draghi non è la fine del mondo

Pensare che dopo Draghi ci possa essere solo il diluvio è il peggior messaggio che possiamo mandare al mondo. Ecco perché andare al voto anticipato non è la sciagura che tutti raccontano.
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Premessa doverosa: Mario Draghi è l’italiano più autorevole al mondo, forse una delle persone più autorevoli al mondo in senso assoluto. E probabilmente il suo prestigio internazionale ha concorso, in questi mesi, a rassicurare le cancellerie occidentali e i mercati sulla stabilità dei conti pubblici italiani e sulla effettiva realizzazione delle riforme promesse dal governo del Paese in cambio dell’accesso ai soldi del Recovery plan europeo. Ancora: nel contesto della guerra tra Russia e Ucraina, Mario Draghi ha svolto un ruolo essenziale nel trovare un punto d’equilibrio tra la linea dura anti Putin anglo-americana e il fronte della trattativa franco-tedesco. E se l’Italia oggi sta riuscendo in brevissimo tempo a diversificare le fonti di approvvigionamento del gas, dopo un ventennio abbondante di dipendenza quasi totale dalla Russia è soprattutto grazie all’intensa attività diplomatica del premier.

Tutto giusto, tutto vero. Ma lo diciamo a tutti quelli che si stanno affannando per convincere il presidente del consiglio a rimanere al suo posto dopo lo strappo del Movimento Cinque Stelle e le successive dimissioni del premier: l’opzione “Draghi a vita” non esiste, non in una democrazia. Al contrario, Mario Draghi è un cerotto che toccherà strappare, più prima che poi. Se non sarà mercoledì, sarà comunque tra qualche mese, quando l’attuale legislatura arriverà a naturale scadenza. E quando sarà, se mai sarà, sarà un toccasana e non un disastro per la nostra democrazia, che alla guida del Paese, qualunque sia il suo colore, torni a esserci una maggioranza espressione di una parte politica in contrapposizione dialettica con un’opposizione espressione di una parte politica.

Anzi, di più:al netto del merito dei temi che pongono Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle – condivisibili o meno, velleitari o meno – è un toccasana pure che si sia aperto un fronte dialettico all’interno di una maggioranza che tiene assieme tutto e il suo contrario, mentre fino qualche mese fa abbiamo visto riforme della giustizia votate da Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, o deleghe in bianco sulla riforma fiscale da parte di Lega e Partito Democratico, che su questi temi hanno idee radicalmente opposte.

Che una situazione del genere possa avere un senso in emergenza può anche starci. Ma siccome quella che oggi chiamiamo emergenza – fatta di pandemia, guerre e crisi energetiche – non è che la nuova normalità, non è così peregrino affrancarsene. Anche perché, non dimentichiamolo, ce ne saremmo già affrancati da qualche mese, se si fosse compiuto il destino auspicato da Draghi stesso, col trasferimento del premier da Palazzo Chigi al Quirinale, trasferimento auspicato da tutte quelle forze sociali, a partire da Confindustria, che oggi implorano "Super Mario” di rimanere dov’è.

Chi auspica la stabilità, e la fine ordinata di una legislatura che più disordinata non poteva essere, ha sicuramente le sue ottime ragioni. Ma chi pensa che l’esito naturale dello strappo di Conte sia la fine di questa esperienza di governo e della maggioranza che lo sostiene, e il ricorso alle urne l’unica inevitabile conseguenza di ciò, ne ha altrettante. Di sicuro, l’idea che dopo Draghi non ci possa essere che il diluvio è il peggior messaggio che possiamo mandare al mondo. E lancia un messaggio terrificante alle cancellerie, ai mercati, alla fiducia di famiglie e imprese sullo stato di salute del Paese, della sua democrazia, della sua economia, della tenuta dei suoi conti pubblici.

L’Italia ce la fa se sopravvive a Draghi, non se lo incatena a Palazzo Chigi. E una democrazia che ha paura delle elezioni ha più di qualcosa che non va. Più ovvio di così, si muore.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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