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Perché il piano dell’Ue per fermare gli sbarchi dei migranti è sbagliato

Per L’Europa la soluzione per aiutare l’Italia nella gestione degli sbarchi è introdurre un meccanismo temporaneo di redistribuzione delle quote. Ma così non si farà alcun passo avanti con la nuova riforma Ue sulle politiche migratorie, quella che dovrebbe superare i regolamenti di Dublino. Arci: “Non siamo di fronte a flussi straordinari, siamo davanti a numeri risibili, che potrebbero essere largamente previsti, se solo ci fosse una programmazione”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Ieri l'Unione europea, tramite la commissaria Ylva Johansson, ha detto che l'Italia non può essere lasciata sola nella gestione degli arrivi dei barconi. Per questo, in attesa dell'approvazione di una riforma delle politiche migratorie con i ricollocamenti obbligatori, verrà messo in piedi un meccanismo provvisorio di "ridistribuzione volontaria che possa aiutare l'Italia nei mesi estivi".

Proprio nelle ultime settimane, con le condizioni meteomarine in miglioramento, si è registrato un aumento di partenze dal Nord Africa. A settembre la Commissione Ue ha presentato una proposta per una riforma, che però nella sostanza non supera in modo netto il Trattato di Dublino, in base al quale i richiedenti asilo devono fare domanda nel primo Paese di arrivo. Ma i lavori procedono a rilento, come ha ammesso ieri la commissaria Ylva Johansson, per cui non si potrà arrivare a una conclusione del dossier in tempi brevi, con il raggiungimento di accordo su una nuova politica Ue sulle migrazioni e l'asilo prima dell'estate. "Negli ultimi mesi siamo andati avanti piano perché a causa del Covid abbiamo avuto pochi incontri fisici con i ministri mentre un tema così divisivo va affrontato guardandosi negli occhi. A breve potremo riprendere a vederci di persona e andare avanti", ha detto la commissaria. La sensazione però è che l'Ue stia solo prendendo tempo, cercando di tamponare il problema. Il piano che l'Europa vuole mettere in campo temporaneamente per offrire "solidarietà" all'Italia potrebbe avere in realtà l'effetto inverso.

È singolare che un'esponente del Partito Socialdemocratico Svedese come la Johansson, piuttosto che occuparsi degli aspetti umanitari, di parlare di salvataggi e di stabilizzazione della Libia, si concentri esclusivamente sugli aiuti economici, come abbiamo visto nella visita di ieri con la ministra Lamorgese in Tunisia, e che punti tutto sul rafforzamento della collaborazione con la cosiddetta Guardia costiera libica, con il finanziamento di droni e sistemi di controllo per bloccare le partenze.

In realtà la spiegazione è molto semplice: se l'Europa delega ai Paesi africani i respingimenti, e in particolare alle milizie e alle bande, più o meno criminali – sono stati 60mila negli ultimi 5 anni i migranti riportati indietro dai libici con l'aiuto dell'Italia – nessuno potrà fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, per la violazione del ‘principio di non refoulement' (Convenzione di Ginevra, articolo 33), in base al quale nessun rifugiato può essere respinto "verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche".

Piuttosto è più facile riproporre un accordo di Malta 2, sulla base di quello firmato nel 2019, che prevedeva da una parte un ricollocamento rapido obbligatorio dei richiedenti asilo (entro quattro settimane), e la rotazione volontaria dei porti di sbarco, non solo quando quelli di Italia e Malta erano sovraccarichi. In questo modo però, visto che si tratterebbe comunque di un'adesione volontaria all'accordo, a dare il proprio contributo sarebbero sempre gli stessi Paesi. Per esempio la Germania accoglie triplo dei migranti dell'Italia, ed è tra i primi 10 Paesi al mondo per numero di profughi. Ma anche Spagna e Grecia accolgono più dell'Italia.

Un patto temporaneo di questo tipo non fa altro che allontanare una soluzione definitiva, che potrebbe essere trovata solo con una riforma europea valida per tutti. È chiaro che i Paesi di Visegrad, come Ungheria e Polonia, non hanno alcun interesse a votare un provvedimento che superi il regolamento di Dublino. È per questo che i Paesi membri dovrebbero votarlo maggioranza, visto che al Consiglio Ue i favorevoli alla riforma sarebbero numericamente avvantaggiati.

Lo ha ribadito ieri anche il leader del Pd Enrico Letta, dopo il colloquio con l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell: "Se in Europa vogliamo aspettare di essere sempre tutti d'accordo su questi temi non si andrà da nessuna parte. bisogna avere il coraggio di dire che su alcune questioni prioritarie come quella migratoria bisogna andare avanti anche senza" quelli "che non vogliono starci, che bloccano tutto come ungheresi e polacchi".

"Se non si farà così – ha aggiunto il segretario del Partito democratico – se non si superano i veti nazionali non si riuscirà a trovare una soluzione. Ho incoraggiato Borrell su una soluzione al problema della unanimità. Il voto all'unanimità è la disgrazia della Ue, blocca tutto". 

Bruxelles dal canto suo continua a proporre accordi che puntano a un'esternalizzazione delle frontiere, come appunto in Libia, dove l'interesse primario è controllare il confine meridionale, per intercettare e bloccare la rotta migratoria dal Ciad e dalla Nigeria.

L'immigrazione non è un'emergenza

L'errore sta anche nell'approccio, perché la questione ancora una volta viene trattata come emergenziale: "Non siamo di fronte a flussi straordinari – ha ricordato a Fanpage.it Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione Arci nazionale – siamo davanti a numeri risibili, che potrebbero essere largamente previsti, se solo ci fosse una programmazione". Il riferimento dell'associazione è agli sbarchi delle ultime settimane, quando in poche ore a Lampedusa sono approdati oltre 2100 migranti. "I toni allarmistici poi non fanno altro che aumentare la paura e la diffidenza sui cittadini, che quei migranti dovrebbero accoglierli nei loro territori", ha aggiunto Miraglia.

Secondo i dati dall'Arci (fonte Eurostat), l'incidenza delle richieste d'asilo sulla popolazione italiana nel 2020 è stata appena dello 0,04%, a fronte di quella europea, che è dello 0,1%. Le richieste d'asilo nel 2020 nel nostro Paese sono state 26.535, contro le 121.955 della Germania, le 39.675 della Grecia, le 88.530 della Spagna e le 93.470 della Francia. Tra i Paesi del Mediterraneo solo Malta ne ha meno di noi, 12.470: l'isola Stato però ha un'incidenza di richieste d'asilo sulla popolazione dello 0,5%.

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