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“Meno tasse per tutti”: dopo la quarta Manovra, cosa resta della promessa di Giorgia Meloni, dati alla mano

In quattro anni, le manovre fiscali hanno ridotto le tasse fino a 43 miliardi, con vantaggi concentrati su redditi bassi e medi, ma la promessa di “meno tasse per tutti” di Giorgia Meloni resta largamente disattesa a causa di un sistema frammentato tra bonus, detrazioni e scaglioni.
A cura di Francesca Moriero
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Dal primo giorno di governo, Giorgia Meloni ha promesso una riforma fiscale "giusta": meno tasse per tutti e tutela del potere d'acquisto dei lavoratori. Quattro manovre di bilancio dopo, il bilancio è ben più complesso. Alcuni redditi, soprattutto medio-bassi, hanno visto benefici concreti, ma il sistema appare oggi frammentato, con vantaggi distribuiti in modo irregolare tra lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi. La promessa di una semplificazione universale si è trasformata, insomma, in un mosaico complicato di scaglioni, bonus e tetti.

Dalle promesse ai numeri: i tagli in quattro anni

Quattro manovre, 43 miliardi di tasse in meno… ma non per tutti. Secondo le stime più recenti, infatti, le misure fiscali approvate tra il 2022 e il 2025 porteranno, a regime nel 2026, a una riduzione complessiva delle imposte di circa 43 miliardi di euro rispetto alla situazione iniziale. La cifra è importante, ma i benefici non sono equamente distribuiti.

  • Per i lavoratori dipendenti: chi guadagna fino a 15mila euro all'anno vedrà una riduzione dell'IRPEF vicina al 7%. Chi percepisce 35mila euro otterrà circa il 4%, mentre chi supera i 120mila euro avrà meno dell'1%. In pratica, i vantaggi si concentrano sui redditi bassi e medi, come promesso dal governo, ma restano comunque limitati rispetto all'aumento del costo della vita e spesso difficili da percepire nel netto mensile.
  • Per pensionati e autonomi: qui il quadro è molto diverso. I pensionati con redditi medio-bassi hanno ricevuto benefici limitati, spesso inferiori a quelli concessi ai dipendenti; gli autonomi, invece, hanno goduto di vantaggi più marcati soprattutto nelle fasce medio-alte di reddito, grazie alle deduzioni specifiche e ai regimi agevolati già esistenti. Un libero professionista con un reddito di circa 45mila euro, per esempio, può risparmiare fino a 1.500 euro l'anno, mentre chi dichiara importi più bassi ottiene riduzioni molto più contenute. In sostanza, anche in questo caso, il sistema ha finito per ampliare le differenze tra categorie, invece di ridurle come promesso.

Il percorso della riforma fiscale: dal cuneo all'IRPEF

Il percorso della riforma fiscale del governo Meloni si è sviluppato a tappe, tra annunci roboanti e risultati spesso meno evidenti di quanto promesso. Il primo passo concreto è arrivato nel 2023 con il rafforzamento del taglio del cuneo contributivo, misura già introdotta dal governo Draghi e rivolta principalmente ai redditi fino a 35mila euro; l' obiettivo era aumentare leggermente le buste paga e sostenere i lavoratori più esposti all'inflazione, ma l'impatto reale sulle tasche dei cittadini è rimasto limitato, pur costando allo Stato circa 7 miliardi di euro.

Nel 2024 il governo ha poi cercato di intervenire direttamente sull'IRPEF, accorpando i primi due scaglioni d’imposta e fissando un’aliquota del 23% per tutti i redditi fino a 28mila euro, confermando nel contempo gli sconti sul cuneo contributivo. Sul piano numerico, l'effetto è stato significativo – circa 16 miliardi di minori imposte – ma la riforma non ha risolto le differenze tra categorie di contribuenti. Dipendenti e autonomi con redditi simili continuavano infatti a percepire vantaggi molto diversi, mostrando quanto la promessa di "meno tasse per tutti" fosse ancora lontana dall'essere realizzata.

Nel 2025 l'intervento ha cercato invece di consolidare i benefici già introdotti, trasformando il taglio del cuneo in un bonus fino a 20mila euro e introducendo una detrazione aggiuntiva per i redditi fino a 35mila euro; l'intento era quello di garantire continuità alle misure anti-inflazione e dare un sollievo concreto alle fasce più basse. Ma la complessità del sistema, tra bonus, detrazioni e tetti, ha reso comunque estremamente difficile per molti cittadini capire quanto davvero risparmiassero.

Il governo ha poi annunciato che nel 2026 la riforma avrebbe finalmente toccato il ceto medio, con la riduzione della seconda aliquota IRPEF dal 35% al 33% per i redditi tra 28mila e 50mila euro. La misura, approvata nella legge di bilancio, promette però risparmi assai modesti: circa 40 euro l'anno per chi dichiara 28mila euro, fino a 440 euro per chi arriva a 50mila euro. Si tratta di un beneficio concreto, ma sempre inferiore alle attese e distribuito in modo assolutamente irregolare, soprattutto se confrontato con le promesse iniziali di semplificazione e vantaggi universali.

In sintesi, dopo quattro anni la riforma ha portato qualche risultato concreto per i redditi bassi e, in parte, per il ceto medio, ma la struttura complessiva rimane ancora estremamente intricata e lontana dall'idea di "meno tasse per tutti" con cui era stata annunciata. E così, il percorso mostrato dai numeri e dagli effetti reali mette in luce quanto le promesse elettorali siano state, almeno in parte, assolutamente disattese.

Il peso del fiscal drag

Non solo. Anche quando i tagli fiscali hanno avuto effetto, altri fattori hanno ridotto il sollievo reale per i contribuenti. Uno di questi è il fiscal drag: quando i redditi aumentano in linea con l'inflazione ma le aliquote Irpef rimangono ferme, le persone possono finire in scaglioni più alti e pagare più tasse, senza però avere un vero aumento del potere d'acquisto.

Secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, la riforma Meloni ha compensato parzialmente questo effetto: chi guadagna fino a 32mila euro ha mantenuto il potere d'acquisto, mentre per i redditi tra 32mila e 45mila euro il maggior prelievo fiscale dovuto al fiscal drag è stato quasi neutralizzato.

Un sistema più equo, ma anche più complicato

Nonostante l'intento di semplificare, il sistema fiscale rimane insomma ancora molto intricato. L’Ufficio parlamentare di bilancio e altre istituzioni indipendenti descrivono l'attuale struttura dell’IRPEF come "coerente negli obiettivi, ma disordinata nell'impianto". Cosa significa? Che non tutti i contribuenti sono trattati allo stesso modo: un lavoratore dipendente e un autonomo con lo stesso reddito possono pagare importi molto diversi. Per esempio: un dipendente con reddito di 40mila euro potrebbe risparmiare meno di un collega con 41mila euro, a causa della combinazione tra detrazioni e bonus. Le franchigie e i tetti introdotti per limitare i benefici ai redditi alti, come i 260 euro di franchigia nel 2024 o i tetti progressivi dal 2025, hanno evitato regali fiscali agli over 50mila euro, ma hanno anche complicato ulteriormente il quadro.

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