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Mari (Avs) a Fanpage.it: “In Italia si lavora troppo per stipendi bassi, serve la settimana corta”

Franco Mari, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra che ha firmato una proposta di legge per introdurre in Italia la settimana lavorativa da 34 ore a parità di stipendio, spiega a Fanpage.it perché farebbe bene ai dipendenti e anche alle aziende. L’iter della legge è appena iniziato, e bisognerà trovare un accordo anche con Pd e M5s.
A cura di Luca Pons
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Alla Camera, in commissiona Lavoro, è iniziato l'esame di tre proposte di legge che puntano allo stesso risultato: una settimana lavorativa più breve a parità di stipendio. Franco Mari, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra, ha firmato uno di questi ddl. A Fanpage.it ha spiegato come le opposizioni dovranno coordinarsi per spingere il governo a fare dei veri passi avanti sul tema. Una legge va fatta "per forza", dice Mari. "Dobbiamo ridurre l'orario di lavoro perché in questo Paese si lavora troppo a lungo, ma i redditi sono troppo bassi, la nostra produttività è bassa, quindi dobbiamo andare incontro anche ai progressi dell'innovazione tecnologica, che libererà tempo di lavoro. Dobbiamo redistribuirlo".

Ci spiega come funzionerebbe la legge concretamente?

È una cosa che dobbiamo decidere un po' assieme, perché le proposte di legge sono tre: quella di Avs, quella del Partito democratico e quella del Movimento 5 Stelle. Dobbiamo trovare un punto d'incontro e credo che ci riusciremo, ovviamente. Dobbiamo aprirci alle competenze di quanti hanno approfondito questo tema, alle esperienze europee e quelle sindacali, perché la riduzione dell'orario di lavoro c'è già in alcuni contratti. La sostanza è che in alcuni casi, sempre attraverso la contrattazione collettiva, sarà possibile (in una fase iniziale anche con l'aiuto dello Stato) ridurre l'orario di lavoro a parità di salario, probabilmente anche incentivare nuova occupazione. Insomma, fare in modo che il tempo di vita sia redistribuito.

Nella vostra proposta si parla anche di una tassa patrimoniale per finanziare la sperimentazione. Su questo siete disposti a fare un passo indietro per trovare un testo unico con il resto dell'opposizione?

Tante cose non si riescono a fare senza prendere le risorse – i soldi, diciamo così brutalmente – dove sono. Cambiare l'orario di lavoro è un'urgenza. Oggi abbiamo una dimensione d'impresa troppo piccola e ne paghiamo lo scotto dal punto di vista della produttività: dobbiamo spingere le imprese ad innovare, a fare ricerca, a fare innovazione, a fare formazione. La politica ha fatto tanti errori in questi anni, dovrebbe invertire questa tendenza.

Questo governo, ovviamente, è assolutamente inadatto a farlo. Puntualmente ci portano lo zero virgola in più su questo o su quello, e invece c'è bisogno di soluzioni forti e radicali, anche se graduali. Sulla patrimoniale, a noi sta a cuore il fatto che non sia più una bestemmia. Non può esserlo, in un Paese come questo.

Chi è contrario alla proposta dice che è demagogica, e che in realtà poi farebbe male al mercato del lavoro italiano. Voi cosa rispondete?

Che ha fatto bene ovunque si sia applicata, innanzitutto. Aumenta la produttività, aumenta la qualità della vita. L'istituto Svimez dice che negli ultimi dieci anni le metà dei laureati nelle università del Mezzogiorno è andata a lavorare all'estero: noi abbiamo un Paese fatto male da questo punto di vista, da cui si scappa. Andando avanti negli anni avremo più anziani che lavorano e giovani che vanno via. Dobbiamo cambiare il nostro sistema radicalmente, così com'è non funziona ed è sotto gli occhi di tutti.

Il fatto che farebbe male alle imprese è un'affermazione che sta in difesa di un sistema che non funziona. Noi dobbiamo fare in modo che anche le imprese abbiano la possibilità di fare passi in avanti, di diventare più grandi, di investire nella ricerca, nell'innovazione e di dare occupazione ai giovani. Se va bene così com'è, non ci siamo.

Finora quella del salario minimo è stata una delle poche proposte su cui le opposizioni, quasi tutte, hanno trovato una quadra. Qui Azione e Italia viva hanno già detto di essere contrarie. Dall'altra parte, però, il governo non ha chiuso del tutto: l'anno scorso il ministro Urso aveva aperto alla possibilità della settimana corta. Come pensa che andrà al dibattito?

La riduzione dell'orario è una cosa che già esiste, in alcuni contratti. Se vogliamo soltanto fare quello che già c'è, ovviamente non basta. Noi siamo apertissimi a una discussione che faccia fare però un significativo passo in avanti. Se l'apertura deriva da una difficoltà del governo – perché il governo in questo momento è in grande difficoltà sui temi del lavoro e delle retribuzioni, anche se tende a coprire la voce delle opposizioni e delle organizzazioni sindacali con una propria narrazione – questo non servirà a niente. Noi siamo disponibili a una discussione vera, però che porti a un intervento legislativo veramente innovativo, come quello che è stato fatto in quasi tutti i Paesi d'Europa.

Le chiedo anche un commento sul Def che il governo ha pubblicato in questi giorni. Il debito pubblico è in aumento. La crescita invece è più bassa delle previsioni, e manca il quadro programmatico, cioè le intenzioni per i prossimi anni. Lei cosa ne pensa? 

Che, appunto, il governo è in grande difficoltà. C'è l'idea di non dire in che direzione andiamo (come si farà a rifinanziare il cuneo fiscale, per esempio, che costa una cifra significativa) e di rimandare tutto a dopo le elezioni europee. È un sotterfugio. È una cosa, tra l'altro, che non era mai accaduta, e con questo governo di cose che non erano mai accadute ne stanno accadendo davvero davvero troppe [un Def senza quadro programmatico fu presentato in passato da governi dimissionari – Monti, Draghi Gentiloni – o in situazioni di crisi – Conte durante la pandemia, ndr]. Il Documento di economia e finanza non ci fa capire che cosa succederà ai servizi di questo Paese, perché poi, come al solito, quando c'è da prendere i soldi si prendono sempre dalla stessa parte: dalle pensioni, dalla sanità, dai servizi essenziali. Questo ci fa capire che quello che non viene detto è quello che non si può dire prima delle elezioni europee.

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