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Opinioni

Ma al Paese ora serve una scelta. Non l’ennesimo compromesso

Cambiare, rischiare, forse sbagliare. O di contro, mediare, trattare, sopravvivere, forse sbagliare. Tre opzioni, due significati, una sola scelta: ma un leader non può e non deve tirarsi indietro.
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Alzi la mano chi, in questo preciso momento, vorrebbe essere nei panni di Pier Luigi Bersani. Nessuno? C'era da aspettarselo. Del resto, il segretario del Partito Democratico, dopo aver "non vinto" le elezioni, imboccato senza particolari aspettative la strada stretta del governo di cambiamento, subito il niet di Grillo e quello (ben più doloroso) di Napolitano, incassato le bordate di Renzi, è di fronte ad un bivio di cruciale importanza. Con la forte sensazione di una scelta che indirizzerà inesorabilmente i destini di politica "tradizionale" e Partito Democratico ad un tempo. E con il rischio, sempre presente, che la (non più gioiosa) macchina del centrosinistra finisca con lo schiantarsi nello spartitraffico (leggere tra le righe le prime dichiarazioni di Nichi Vendola in relazione ad un presunto accordo sul Colle in grado di preparare la strada al governissimo). Certo, ci sarebbe anche da dire che il fatto che l'onere della decisione ricada solo ed esclusivamente sulla coalizione di maggioranza relativa è un paradosso di non poco conto in questa particolare stagione politica. Ma tant'è.

Siamo al bivio, dunque. O "continuare a macchiare il giaguaro" (come scrive Civati), confidando nella pazienza dello zoccolo duro degli elettori democratici e cercando di far digerire loro non tanto le scelte di Amato, Marini o D'Alema, ma soprattutto un accordo politico con il Cavaliere, già rimesso in sella dalla scellerata campagna elettorale delle politiche. Oppure rompere gli indugi, fare "il salto della fede" (e nel buio) e accettare con riserva la mano tesa da Grillo e far convergere i voti su Stefano Rodotà (che del resto proviene da quell'area e dunque, perché no?). È chiaro, si tratterebbe di far saltare il banco delle larghe intese, con conseguente rischio di un precipitare della crisi politica (e parallelamente di una ripresa delle ostilità da parte del centrodestra), senza alcuna garanzia sulla possibile formazione del nuovo Governo. Ma sarebbero davvero in pochissimi fra gli elettori democratici a poter muovere appunti sulla figura di Rodotà. Certo, all'interno del gruppo dirigente Pd sarebbe scontro frontale, ma non è pensabile guidare questa fase senza passare da scelte di questo tipo e limitandosi a sperare nell'ennesimo compromesso al ribasso.

Un compromesso, oppure il cosiddetto piano C, che ha le fattezze del "Presidente della discontinuità". Un non politico, magari un giurista o un tecnico. Meglio ancora se donna. Un identikit che risponde, a parere di chi scrive, più al nome di Anna Maria Cancellieri che a quello di Fernanda Contri. Il punto è che la mobilitazione per Rodotà al Quirinale è già partita e difficilmente Bersani dopo aver "non vinto", "non esplorato", "non rinunciato" e "non smacchiato", potrebbe cavarsela con una "non scelta". E non scegliere ora, non è il miglior servizio al Paese.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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