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I finti tagli della casta: 700 euro di stipendio in meno (ma di aumento)

Ad effetto immediato il taglio sulle entrate dei parlamentari: più che gli stipendi, la decurtazione è andata ad interessare l’aumento di 1300 euro lordi conseguente al passaggio dai vitalizi al sistema pensionistico contributivo. Il netto delle buste paga, insomma, resta invariato.
A cura di Nadia Vitali
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Ad effetto immediato il taglio sulle entrate dei parlamentari, più che gli stipendi, la decurtazione è andata ad interessare l'aumento di 1300 euro lordi conseguente al passaggio dai vitalizi al sistema pensionistico contributivo. Il netto delle buste paga, insomma, resta invariato.

Dopo il flop della Commissione Giovannini che aveva decretato l'impossibilità di stabilire una media sulla base degli altri paesi europei a cui adeguare le entrate in busta paga degli onorevoli italiani, la Camera dei Deputati ha approvato le prime misure in termini di trattamento previdenziale ed economico; oggi, alle 15, toccherà ai Senatori deliberare sul medesimo tema. Il primo punto riguarda il passaggio dal sistema dei vitalizi a quello contributivo, attivo da subito e a partire dal 1° gennaio di quest'anno, già approvato nello scorso mese di dicembre: la nuova normativa prevede la possibilità di accedere al trattamento ad almeno 65 anni e con un periodo contributivo minimo di un quinquennio; per ogni anno in più di attività, l'età minima diminuisce fino al limite massimo dei 60 anni.

Il passaggio al contributivo, a causa dei differenti criteri di tassazione, si sarebbe tradotto in un aumento in ciascuna busta paga di 1300 euro lordi (700 al netto): un taglio della medesima entità sugli stipendi ha evitato questo incremento nelle entrate che sarebbe stato difficile da giustificare, vista la gravissima congiuntura economica e sociale in cui si versa il nostro paese. Nella fattispecie, gli onorevoli percepiranno la medesima somma, semplicemente priva di aumento. Un taglio ulteriore del 10% va aggiunto alle indennità di deputati titolari di incarichi istituzionali, in tutto circa 120, quali il Presidente della Camera, i Vicepresidenti, deputati Questori, Segretari di Presidenza, Presidenti e membri degli uffici di Presidenza dei diversi organi Parlamentari. La somma derivata andrà a confluire in un fondo a disposizione della Camera per spese straordinarie e ricorsi: questi ultimi già preparati e presentati al Consiglio di Giurisdizione da una ventina tra deputati ed ex deputati, preoccupati per la perdita del proprio vitalizio.

Nell'attesa di una misura di legge tempestiva ed efficace volta ad inquadrare e regolamentare la figura del collaboratore parlamentare, sulla base anche delle diverse normative vigenti negli altri Stati europei, cambia il sistema contributivo per i «portaborse»: i 3690 euro mensili resteranno forfettari solo per il 50% mentre l'altra metà sarà rimborsata dietro presentazione di ricevute, contratti e documentazioni. Il nuovo sistema se non promette un immediato risparmio dovrebbe garantire, quanto meno, una maggiore trasparenza nonché l'opportunità di verificare tramite rapidi controlli. Anche il sistema della diaria subirà delle piccole restrizioni: l'indennità aggiuntiva che il parlamentare riceve per la sua assidua frequentazione e partecipazione ai lavori legislativi sarà vincolata alla effettiva presenza in Parlamento. Decurtazioni per tutti gli onorevoli assenti in aula e nelle commissioni ordinarie, ma anche nelle commissioni bicamerali, di inchiesta e nelle delegazioni straordinarie.

Il Premier Monti sta, infine, accelerando il più possibile i tempi sulla questione degli stipendi dei manager pubblici: il trattamento economico del Presidente della corte di Cassazione (corrispondente a circa 9/10 000 euro netti al mese, secondo i dati di agosto) diventerà il tetto massimo e, dunque, il parametro di riferimento per tutti coloro i quali ricoprono ruoli dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, secondo lo schema di Dcpm inviato da Mario Monti a Presidenti di Camera e Senato, in attesa del parere delle commissioni parlamentari competenti. Lo stesso decreto prevederebbe per i dipendenti collocati presso altre pubbliche amministrazioni, fuori ruolo o in aspettativa, una retribuzione per l'incarico che non può superare il 25% del trattamento economico fondamentale.

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