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Gli F35 hanno “prestazioni al di sotto del livello previsto”. Il Pentagono dubita dell’aereo costato 15 miliardi

Il nostro paese ha preferito le armi allo sviluppo e alla salute; gli F35 agli asili. Gli stessi F35 che – oggi – il Pentagono critica per la “mancanza di maturità” dell’intero programma (costato quasi 400 miliardi di dollari). Ma chi è stato a decidere l’acquisto degli F35?
A cura di Anna Coluccino
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Italia armi f35 asili

"Le prestazioni dell'aereo [F35, ndr] sono rimaste al di sotto del livello previsto a questo punto del programma".

"Gli aggiornamenti del pacchetto software, necessari per supportare i test di volo, sono sempre  stati consegnati in ritardo o incompleti".

"Il casco che integra i dati del pilota ai sensori dell'areo continua a dare notevoli problemi".

"Il test sull'integrazione delle armi è stato rimandato a causa di una serie di fattori, tra cui diversi problemi con le performace del sistema radar e di quello per l'inseguimento del bersaglio".

"Il test sulla durevolezza del modello Marine-B è stato interrotto a dicembre dopo il rilevamento di crepe trovate sulla parte inferiore della fusoliera dell'aereo".

"Il modello Marine-C ha mostrato difficoltà nel trasferimento di dati video e immagini alle navi, e in un test riguardo l'infiammabilità ha rivelato un problema potenzialmente grave con il sistema di raffreddamento che – al momento -sembra essere stato risolto".

Ecco quello che pensa il Pentagono del programma Joint Strike Fighter della Lockheed Martin; programma avviato nel 1997 dal Dipartimento della Difesa USA per dar vita alla nuova generazione di aerei da combattimento: i famigerati F35. Si tratta dello stesso programma che l'Italia – dal 1998 – si impegna annualmente a sostenere. Solo quest'anno, la spesa per gli F35 ammonta a 1,2 miliardi. Denaro sottratto alla scuola, alla sanità, allo sviluppo, all'assetto idrogeologico; ovvero a tutto ciò di cui le cittadine e i cittadini italiani hanno effettivamente bisogno. La spesa complessiva per l'acquisto dei 131 jet previsti sarà di 15, 87 miliardi di euro – al netto dei costi di manutenzione e allestimento hangar. I primi tre caccia sono già stati acquistati, come ha dichiarato in un'intervista al Sole24Ore il generale Claudio Debertolis, nonostante non ci siano ancora garanzie circa la loro affidabilità.

Dal 2007, il nostro paese ha deciso di fiondarsi con crescente entusiasmo nel programma, decidendo di investire  2 – ulteriori – miliardi di euro e annunciando una ricaduta occupazionale pari a 2.000 posti di lavoro (nel novarese) e 10.000 su base nazionale. Nuove stime, però, fissano a 600 il picco massimo e a 200 la media occupazionale. A questo punto, a fronte della drastica riduzione delle previsioni riguardanti la creazione di posti di lavoro, si potrebbe sperare che – almeno –  i costi del programma non siano lievitati. E invece no. I costi sono diventati così esorbitanti da sfuggire ad ogni previsione (il prezzo di listino di un F35, in dieci anni, è raddoppiato: da 69 milioni di dollari a 133). Ora: dopo tredici anni tra sviluppo e produzione, e dopo aver investito nel progetto somme così ingenti da convincere moltissimi altri stati a fare lo stesso, il Pentagono sembra procedere verso la bocciatura della Lockheed Martin e del suo programma o – almeno – ne sta certamente ridimensionando le potenzialità. Questo significa che, in questi anni, l'Italia ha investito uno somma da capogiro (cui si potrebbero sommare fino 40 miliardi da qui a vent'anni) per quello che sembrerebbe configurarsi come un pacco di dimensioni mitologiche.

Eppure – cerchiamo di essere onesti – come si poteva prevedere una cosa del genere? Che colpa hanno i nostri rappresentanti del fatto che gli F35 che abbiamo acquistato si stiano rivelando potenzialmente deludenti? Certo, è vero che il nostro paese non sta solo acquistando gli F35, ma ne sta finanziando lo sviluppo (vale a dire che ha investito ingenti somme nel progetto) e questo – in genere – implica un notevole approfondimento della materia e attenti studi riguardo la realizzabilità, la sostenibilità e la convenienza dei progetti; il tutto onde evitare che l'investimento si riveli infruttifero. Ma è pur vero che gli italiani sono persone piene di fiducia nei confronti del prossimo e, forse, chi è stato chiamato a valutare le potenzialità del programma ha pensato che se gli Stati Uniti erano così convinti dello Joint Strike Fighter Program da finanziare la Lockheed Martin con la più esosa commessa militare della  loro storia, allora occorreva non perdere l'occasione di salire a bordo dell'affare. Così, oggi, l'Italia è un vero e proprio partner della Lockheed Martin  e un finanziatore del progetto riguardante gli F35, il che significa che saremo complici dell'eventuale pacco così come dell'eventuale successo. Questo dato – vale la pena sottolinearlo- sconfessa una volta per tutte quanti continuano a puntare il dito verso la classe dirigente italiana per non essere capace di investire nella ricerca. Il contratto firmato con la Lockheed Martin dimostra che così non è: anche l'Italia sa investire in ricerca. Solo che preferisce la ricerca sugli strumenti di guerra invece di quella che si occupa degli strumenti di pace; preferisce la ricerca militare a quella medica. Il che la dice molto lunga su chi siano i veri proprietari della nostra sovranità nazionale.

Ma come potevamo prevedere che una rispettabile azienda come la Lockheed cadesse in errori così grossolani? Del resto, non potevamo mica ricordare che la medesima azienda statunitense – nel 1976 – affrontò uno scandalo di enormi proporzioni per aver corrotto "le strutture preposte alle valutazioni tecnico-militari dei Ministeri della Difesa, i Ministri della Difesa, e – in Italia e Giappone – anche i Primi Ministri". Non potevamo mica ricordare che – nel 1978 – l'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone fu costretto a dimettersi proprio a causa dello scandalo Lockheed. La nostra è una memoria labile, non le si può chiedere di produrre collegamenti così lontani nel tempo. Eppure sarebbe bastato farsi un giro su Wikipedia e, voilà, con un paio di clic ci si poteva quanto meno lasciar colpire dal dubbio; porsi un problema di coscienza; avanzare una vaga perplessità riguardo all'opportunità di rientrare in affari con un'azienda che potrebbe anche essersi completamente ripulita, ma ha comunque rappresentato una gigantesca vergogna per la storia repubblicana (azienda con cui – per completezza – siamo tornati in affari nel 1994).

A giudicare da quanto appreso fin qui, pare proprio che quanti si sono assunti la responsabilità di "valutare" l'affidabilità e l'efficienza del programma aereo della Lockheed non abbiano fatto un gran lavoro o, quanto meno, pare abbiano peccato di superficialità di giudizio. Cerchiamo di essere clementi, però. Del resto, cosa sono 15 miliardi potenzialmente buttati al vento per una società fiorente e florida come la nostra? Una società dove c'è piena occupazione, servizi sociali d'eccellenza, una sanità e un'istruzione pubblica esemplari, una burocrazia rapida ed efficiente e un sistema giudiziario giusto ed equo? Quei 15 miliardi erano un vero e proprio avanzo, un di più, un gruzzolo del non si può far altro che chiedersi: e mo' con questi che ci faccio? Tanto valeva spenderli nella "ricerca".

Ciononostante, qualcuno – malignamente – potrebbe dire che il nostro paese, in realtà, affronta gravi difficoltà e che quei 15 miliardi di euro erano da considerarsi buttati ancor prima di scoprire che gli F35 potrebbero non avere mai le caratteristiche necessarie a massacrare (per bene!) esseri umani in giro per il pianeta. Ma – per quanto un simile presupposto sia difficilmente negabile – il punto è che nessuno dei rappresenti della popolazione  ha scelto di affrontare una siffatta spesa perché, di fatto, il parlamento non può opporsi alla spesa militare. Tutto quello che il parlamento può fare è ratificare l'atto di acquisto con un bel "sì, facciamolo!"; nel caso si esprima con un "no, meglio fare altro" – com'è capitato – gli F35, i sottomarini, i soldati del futuro (Forza Nec) e gli altri strumenti da guerra si comprano lo stesso. Gli Stati Maggiori e il Ministro della Difesa si esprimono in completa indipendenza e il voto del parlamento è solo consultivo e non vincolante. In sostanza, una piccola assemblea di non eletti sceglie gli ultimi modelli di armamenti su quali esaurire le già provate risorse dei cittadini italiani e impone la sua decisione all'intera assemblea dei rappresentanti popolari; rappresentanti che – corrotti o meno, disonesti o meno, capaci o meno – sono gli unici ad avere la delega popolare necessari a prendere una decisione che ha conseguenze pesantissime sulle vite di tutti.

Una riflessione, a questo punto, è necessaria: invece di inserire nei programmi elettorali un vago "no agli armamenti" che – di fatto – non garantisce all'assemblea parlamentare di far valere le proprie decisioni in questo ambito, perché non proporre l'implementazione di una legge che renda vincolante il parere del parlamento in materia? Forse è davvero arrivato il momento di essere un po' più onesti quando si maneggia la vita delle persone. Questa inutile corsa agli armamenti non solo contraddice la nostra Costituzione ma, di fatto, mette in pericolo delle vite: le vite di chi verrà direttamente colpito dagli F35 e dai soldati del futuro – certo – ma anche le vite di tutti coloro a cui viene chiesto di sacrificare la salute, il lavoro, il futuro, la qualità della vita, il benessere dei propri figli in nome di che cosa?

Coloro i quali, pur non essendo eletti, si sono assunti la responsabilità di prendere in maniera inderogabile una simile decisione, hanno il dovere di rispondere almeno a questo: in nome di che cosa (o di chi) assassinate le speranze a una vita dignitosa dei cittadini che avete giurato di proteggere?

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