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Crisanti a Fanpage: “Vogliamo la politica fuori dalla sanità e dirigenti scelti da commissioni indipendenti”

Il microbiologo e senatore del Pd Andrea Crisanti, in un’intervista a Fanpage.it, spiega la sua proposta per cambiare la procedura di nomina dei vertici delle aziende ospedaliere: “Noi vogliamo dirigenti indipendenti, che non rispondano al presidente di Regione ma rispondano agli interessi della comunità che devono servire”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il senatore e microbiologo Andrea Crisanti ha presentato una proposta di legge per cambiare la procedura di nomina dei dirigenti delle aziende ospedaliere. Per il senatore del Partito Democratico il cancro del Sistema sanitario nazionale, che causa disservizi e storture, è la malsana commistione tra politica e gestione: in Italia infatti, a differenza degli altri Paesi, controllore e controllato si sovrappongono, e sono alla base delle criticità nella sanità.

Per questo l'obiettivo di Crisanti, che ieri a Palazzo Madama ha illustrato la sua proposta insieme al collega dem Nicola Irto, è intervenire sulla procedura di nomina dei dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale, un passaggio fondamentale, secondo il professore, per cambiare la gestione del nostro Ssn, renderlo più efficiente, trasparente e restituirlo ai cittadini. Noi vogliamo dirigenti indipendenti, che non rispondano al presidente di Regione ma rispondano agli interessi della comunità che devono servire. Poi la politica detti le linee di indirizzo e controlli che la gestione sia allineata con le linee di indirizzo", ha detto Crisanti in un'intervista a Fanpage.it.

L'idea è quella di creare una struttura totalmente indipendente per scegliere i dirigenti sanitari, una commissione nominata dall'Anac, composta da da esperti, che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi: tra i membri, uno sarà designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e uno dalla Regione "e deve necessariamente comprendere un rappresentante dei medici, un rappresentante degli operatori sanitari dell'ente in relazione al quale si procede, un componente designato dalle associazioni di pazienti operanti nel medesimo ente e il sindaco del comune in cui ha sede l'ente in relazione al quale si procede o un suo delegato".

Da cosa nasce questa proposta di legge? Qual è la ratio?

La sanità italiana ha sostanzialmente due problemi: uno di gestione e uno di rapporto con il privato convenzionato. Il primo problema a mio avviso è evidente, quando un sistema non funziona bisogna cercare di capire se il modello di gestione ha dei difetti che lo rendono non funzionale. La prima cosa che salta agli occhi è che nel nostro sistema il decisore crea una catena di controllo che concentra l'indirizzo politico, il controllo e la gestione. Nessun sistema funziona se controllore e controllato sono la stessa entità, è sbagliato. Un sistema di questo genere è destinato a produrre inefficienza, ingiustizia e diseguaglianze. La considero una questione di igiene gestionale.

Nella sua esperienza professionale ha avuto modo di osservare che la maggior parte dei dirigenti ospedalieri è di nomina diretta politica?

Tutti, non la maggior parte. Ci sono dirigenti di azienda che hanno detto chiaramente che il loro ‘azionista' è il presidente della Regione. Abbiamo un servizio nazionale in cui ci sono 40 aziende sanitarie, il 20% su 140-150 circa, che sono commissariate, alcune per infiltrazioni malavitose. Abbiamo un deficit accumulato di 8 miliardi di euro, i cittadini sperimentano ogni giorno la difficoltà di ottenere un appuntamento per un esame diagnostico avanzato o una visita specialistica, con liste di attesa che arrivano anche a un anno. I pronto soccorso sono costantemente sovraffollati, è sempre più difficile trovare medici di famiglia e pediatri di libera scelta, e abbiamo una situazione drammatica nelle comunità montane. In più tutti gli indicatori di qualità del Ssn sono in peggioramento: il tempo che passa tra il sintomo e la diagnosi, tra la diagnosi e la terapia, e il tempo di sopravvivenza dopo la terapia. Penso che sia giunto il momento di mettere mano a questa situazione. Quando c'è una struttura che funziona male nella maggior parte dei casi c'è un difetto di gestione o una carenza professionale del dirigente. Non è un caso qui che tutti i dirigenti fanno male, è un sistema che non va.

Nel primo articolo della proposta scrivete che tutti i soggetti devono essere scelti tra gli iscritti all'elenco generale dei direttori generali. Ci deve essere quindi una professionalità riconosciuta e certificata da un albo?

Non è un problema di figure più o meno qualificate. Non si tratta di competenza, il problema è l'indipendenza. Sono due cose assolutamente distinte. Noi vogliamo dirigenti indipendenti, che non rispondano al presidente di Regione ma rispondano agli interessi della comunità che devono servire. Poi la politica detti le linee di indirizzo e controlli che la gestione sia allineata con le linee di indirizzo. Ma è necessario che ci siano dirigenti che potenzialmente siano in grado di dire al presidente di Regione ‘No, questo è sbagliato, non lo faccio perché non ritengo che sia funzionale agli interessi dell'azienda sanitaria'.

Perché inserire allora l'articolo che prescrive di individuare i candidati in quell'elenco?

Perché l'elenco già c'è, e sebbene non sia perfetto identifica determinate competenze. Ma il problema, ripeto, è l'indipendenza.

Ma come si fa a evitare che questa commissione che deve nominare i dirigenti diventi un nuovo centro di potere?

È molto semplice, perché la commissione è a termine, non ha nessun ruolo nella gestione, è solo parte terza. Viene nominata dall'Anac, i rappresentanti dei medici e degli infermieri sono sorteggiati, mentre i rappresentanti dei pazienti giustamente portano avanti determinate istanze, e si cerca una mediazione. L'importante è che sia un organo del tutto indipendente dal potere politico. Dopodiché il dirigente, che non può essere nominato più di due volte, si confronterà con la realtà che deve gestire e con l'indirizzo politico al quale deve rispondere. Così il controllore risponde agli elettori, da cui trae legittimità, e il controllato trae la sua legittimità dalle sue competenze e dal fatto di essere stato scelto da una commissione completamente indipendente.

Tutto questo può essere fatto senza impiegare ulteriori risorse di finanza pubblica?

Assolutamente sì, una commissione non avrebbe costi aggiuntivi.

Il modello italiano è anomalo in questo momento rispetto al panorama internazionale?

Sì il nostro è un modello anomalo e malato. Da nessuna parte la politica ha questa ingerenza capillare nei gangli vitali della sanità. E non è una questione di anti-politica, perché io rivendico il ruolo della politica nell'azione di indirizzo e di controllo.

Una proposta di questo genere, che toglierebbe capacità di manovra alla politica, non pensa possa incontrare resistenze?

Più persone di irritano per questa proposta più abbiamo la conferma che abbiamo toccato il punto cruciale, che abbiamo ragione. Nessuno dovrebbe arrabbiarsi, a meno che non ci siano altri interessi in campo. L'abbiamo appena presentata, adesso andrò dal presidente del Senato La Russa con tutte le firme che abbiamo raccolto con la petizione, che sono più di 100mila, e chiederò la calendarizzazione. L'opinione pubblica si rende conto che c'è un problema. Dopodiché le forze politiche si prenderanno la responsabilità davanti al Paese.

Che risposte avete avuto al momento?

Ho registrato risposte entusiastiche da parte dei cittadini, meno entusiastiche da parte della classe politica, perché non dimentichiamoci che la sanità rappresenta l'85% del budget della Regione e chiaramente è diventata una leva di potere. Da questo punto di vista penso che il Partito Democratico debba fare un taglio netto con il passato, perché c'è stato un momento in cui noi abbiamo gestito 13 Regioni, se gli elettori non ci hanno votato evidentemente abbiamo fatto qualcosa di sbagliato. E secondo me abbiamo sbagliato soprattutto nella gestione della sanità in molte Regioni.

Pensa che questa proposta possa incontrare ostilità sia nel centrodestra sia nel centrosinistra?

Sicuramente tutte le proposte che portano un cambiamento radicale rispetto al passato trovano sempre ostilità. Mi hanno anche detto che si tratta di una proposta troppo idealistica, ma siccome in Francia, Inghilterra e Germania la politica è completamente fuori dalla sanità, io sono ottimista, e credo che un modello del genere si possa realizzare anche nel nostro Paese.

Lei diceva che questo non è che un primo passo. Quali saranno i prossimi step per provare a migliorare il Ssn?

Bisogna agire sul rapporto tra pubblico e privato. Innanzi tutto voglio chiarire che il privato convenzionato non è pubblico. Se il privato convenzionato fa dei profitti significa che il cittadino ottiene qualcosa di meno. Oppure, in alternativa, il pubblico è meno efficiente. Oppure ancora, come terza possibilità, il privato convenzionato sfrutta il sistema per trasferire le passività sul pubblico. E io penso che sia quello che accade in questo momento, perché se i privati convenzionati non hanno l'obbligo, in modo omogeneo in tutte le Regioni, di aprire i pronto soccorso, di aprire i reparti di rianimazione, di aprire i reparti di neonatologia, i centri trasfusionali, è chiaro che trasferiscono costi al pubblico, perché se hanno un problema nella struttura mandano il paziente nell'ospedale pubblico. E questo non può andare bene, non esiste da nessuna parte una cosa del genere. In Inghilterra se lei va nel privato e poi viene trasferito nel pubblico l'ospedale manda una fattura all'ospedale privato.

Quindi voi cosa proponete?

Noi stiamo ragionando su una proposta per uniformare i criteri di accreditamento e di convenzionamento delle strutture private. Vogliamo fare in modo che i privati siano obbligati ad aprire i pronto soccorso, le rianimazioni le neonatologie, i centri trasfusionali, in base ai letti che hanno. E se non li aprono pagano una quota al Ssn. Altrimenti si continueranno a perpetuare le disuguaglianze, le differenze tra chi può permettersi di andare nel privato e chi no. E poi vogliamo fare in modo che il privato, in termini di prestazioni, abbia le stesse proporzioni del pubblico.

Si spieghi meglio.

Faccio un esempio: non possiamo avere un privato che fa prevalentemente interventi di protesi, perché sono convenienti e hanno dei margini elevati. Se il privato fa l'80% di protesi, mentre l'ospedale pubblico ne fa il 30% c'è qualcosa che non va. Bisogna equilibrare i costi tra pubblico e privato.

Questo avrà una ricaduta pratica anche sulle liste d'attesa?

Certamente, anche perché il privato convenzionato manca di trasparenza proprio sulle liste d'attesa. Chi se lo può permettere o chi ha conoscenze personali le salta, perché ha dei privilegi. Vorremmo che le liste d'attesa non le gestisse il privato convenzionato, ma un centro unico, nazionale o regionale, di gestione delle liste d'attesa, per togliere al privato la discrezionalità.

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